Vittorio Sgarbi, l’unico critico d’arte che ha trasformato sé stesso nell’opera più discussa d’Italia
Fine intellettuale, gladiatore da talk show, sempre pronto a scagliarsi addosso a chiunque osi contraddirlo. Oggi, vecchio e malato, deve affrontare l’ultima sfida, che non arriva da un giudice ma da casa sua: la figlia Evelina vuole per lui un amministratore di sostegno
Vittorio Sgarbi è l’arte fatta carne. Ma è anche il disastro di sé stesso, la bestemmia che urla nei suoi eccessi. Critico d’arte raffinatissimo e ineguagliabile, ma anche polemista acutissimo, capace di passare in un istante dal sublime Caravaggio a un insulto in diretta TV.
Da decenni è la maschera barocca che la scena pubblica italiana non riesce a togliersi di dosso. Parlamentare, sindaco di mezza Italia, sottosegretario alla Cultura, imputato in mille processi, protagonista di risse, polemiche, urla e querele. Sempre sulla cresta del ridicolo e del sublime, spesso nello stesso respiro.
Il suo curriculum è una commedia d’arte e dí miseria umana: fine intellettuale, gladiatore da talk show, sempre pronto a scagliarsi addosso a chiunque osi contraddirlo. Sgarbi non discute, sbrana chi gli sta difronte e azzanna chiunque non gli stia simpatico. Non dialoga, semplicemente si impone. È un Narciso assoluto che si specchia nelle opere d’arte e nelle telecamere, convinto che tutto, dalla Gioconda a Porta a Porta, esista per rifletterlo e osannarlo.
E poi la miseria di un grande: tribunali, processi, accuse di truffa, di peculato, di abuso. Un rosario laico e blasfemo che accompagna la sua carriera come un sottofondo senza fine e senza limiti. Oggi, vecchio e malato, deve affrontare l’ultima sfida, che non arriva da un giudice ma da casa sua: la figlia Evelina lo vuole per lui un amministratore di sostegno. Una scena da tragedia familiare, che lui liquida con il consueto disprezzo: “È mal consigliata, forse sogna chissà quali bengodi”. Come dire: il nemico non è mai lui, sono sempre gli altri, fossero pure sangue del suo sangue.
Sgarbi resta unico e inimitabile: un monumento vivente all’eccesso, l’unico critico d’arte che ha trasformato sé stesso nell’opera più discussa d’Italia. Un capolavoro grottesco, che continua a urlare, insultare, resistere e sopravvivere a tutto. Perché l’Italia, che lo odia e lo ama, non sa fare a meno della sua bestemmia permanente, del suo furore, dei suoi estasianti deliri.