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12/05/2025 ore 06.36
Cronaca

«Ai sindaci manca ancora il coraggio di ribellarsi alla ‘ndrangheta»: parla il comandante dei carabinieri di Vibo

Il massimo ufficiale dell’Arma sul territorio vibonese, Luca Toti: «È in atto una pax mafiosa, significa che gli equilibri si sono assestati. Nella zona grigia si annida la nuova criminalità»

di Enrico De Girolamo

«Avevo 16 anni quando decisi di diventare carabiniere. Era il 1992, l’anno in cui furono uccisi Falcone e Borsellino. E mi dissi: devo fare qualcosa». C’è una motivazione molto forte alla base della carriera del comandante provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia, Luca Toti. Una motivazione che affonda le sue radici nello sconcerto di un Paese che vide la mafia superare ogni limite concepibile. «Per me fu come ricevere un pugno in mezzo al petto - aggiunge -. Così decisi di arruolarmi».
Abruzzese, 48 anni, da circa due anni e mezzo Toti è a Vibo, dopo un passato a Bologna, Napoli e Torre Annunziata. Ed è già tempo di bilanci.

«Ho cercato di creare la massima sinergia tra i reparti. Disponiamo di 32 stazioni dei carabinieri che sono la sentinella sul territorio dell'Arma, un presidio di legalità ma anche un modello di accoglienza per il cittadino, soprattutto per chi non ha a chi rivolgersi quando è in difficoltà. Oltre ai 450 carabinieri del comando provinciale possiamo contare su 400 carabinieri dello Squadrone eliportato Cacciatori Calabria, del Nas, del Nucleo ispettorato del lavoro. E poi giochiamo in squadra con le altre istituzioni, con la Polizia di Stato, con la Prefettura, con la Magistratura».

Qual è stato il momento più gratificante di questi due anni e mezzo?
«Momenti gratificanti ce ne sono stati tanti, ma non mi riferisco semplicemente ai risultati operativi, ma anche alle piccole soddisfazioni personali che poi sono quelle che davvero gratificano quelli che come me fanno questo mestiere. Ricordo in particolare un ragazzo di Limbadi, di una scuola media, che dopo un incontro sulla legalità è venuto a chiedermi come poteva arruolarsi nei carabinieri e quindi ha cominciato a farmi molte domande. Alla fine gli ho chiesto perché volesse farlo. E lui - avrà avuto 13 o 14 anni, forse anche più piccolo – mi disse: “Ho visto tante cose storte nella mia vita”. La cosa mi colpì. Ho poi chiesto all'insegnante chi fosse questo ragazzo e mi disse che fa parte di una famiglia mafiosa. Il suo desiderio di diventare carabiniere è per me un segnale molto importante».

E invece il momento più brutto?
«In questo mestiere ce ne sono tanti. Ad esempio, quando non riusciamo a dare una risposta a tutti quei cittadini che vengono in caserma perché vittime di un reato, vittime di un sopruso. Ci si sente frustrati, soprattutto quando la vittima ha subito uno di quei reati più odiosi, come le truffe agli anziani, alle persone vulnerabili. Oppure quando si tratta di violenza contro le donne. In questi casi, anche se non perdiamo mai di vista il nostro obiettivo, la prima cosa che facciamo è cercare di rassicurare queste persone, far capire loro che dietro una divisa c'è comunque un uomo o una donna pronti ad ascoltare».

Ha accennato alle truffe agli anziani, un fenomeno che sta dilagando…
«Un problema che si sta diffondendo in tutta la provincia vibonese, ma anche nel resto della Calabria. Per contrastare questi reati ci muoviamo in due direzioni. Innanzitutto siamo impegnati in attività di prevenzione insieme alle parrocchie, le associazioni di categoria, i centri di ritrovo per gli anziani, per far capire alle potenziali vittime come bisogna difendersi da questi reati. Poi c’è l’azione repressiva. Recentemente abbiamo assicurato alla giustizia alcuni soggetti che dal Napoletano ero arrivati a Vibo Marina riuscendo a raggirare una donna anziana. Erano riusciti ad impossessarsi anche della fede del marito defunto. Si tratta di reati veramente abietti che cerchiamo di contrastare con grande attenzione».

Negli ultimi tempi nel Vibonese c'è stata una recrudescenza di atti intimidatori. Però questa volta sembra che la città abbia reagito con un’autentica ondata di solidarietà. Lei ha percepito questo cambiamento?
«C'è una bella frase di Sant'Agostino che dice: la speranza ha due figli, l'indignazione e il coraggio. L'indignazione è importante ma da sola non basta, ci vuole il coraggio di ribellarsi. Sto notando che nei 50 comuni della provincia sta venendo fuori questo senso di indignazione, soprattutto nei confronti della ‘ndrangheta, che rimane la principale criticità del Vibonese, la principale minaccia. Quello che ancora manca, però, è il coraggio di denunciare. Quindi c'è bisogno che la parte sana, gli imprenditori, i commercianti, denuncino, perché le forze dell'ordine da sole non possono estirpare definitivamente il fenomeno. Bisogna ribellarsi».
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