Alla 'ndrangheta i milioni del gaming: scontro tra i clan del Crotonese per il controllo di slot machine e scommesse
Dall’inchiesta Blizzard-Folgore emerge lo sconfinamento del clan di Papanice a Isola Capo Rizzuto: «Prendono 300-400mila euro al mese dalle macchinette». Il fastidio degli Arena per l’invasione di campo dei Megna e il rischio di una guerra
di Pablo Petrasso
Il gaming è una delle passioni delle cosche di ’ndrangheta, «con particolare riguardo a quelle di Isola Capo Rizzuto e di Papanice». Uno dei capitoli dell’inchiesta Blizzard-Folgore della Dda di Catanzaro è dedicato agli interessi economici dei clan per la raccolta delle scommesse attraverso sistemi elettronici e telematici.
Sono le intercettazioni a guidare i magistrati coordinati dal procuratore Salvatore Curcio nella rete di affari della cosca. Il 29 agosto 2022 Luigi Masciari, l’uomo del clan al Nord, parla al telefono con Antonio Arena “il cecato” e Antonio Bruno, storico luogotenente di Mimmo Pompeo, boss della ’ndrangheta a Milano morto nel febbraio 2017.
I tre ricordano proprio la gestione del settore da parte di Pompeo. Parlano di gaming anche in riferimento al vizio di uno degli Arena, colpevole di sprecare i guadagni raccolti esercitando la propria malsana ossessione per le “macchinette”. Si parla di decine di migliaia di euro e non è l’unico problema evidenziato nella conversazione.
Ultrà e picciotti al funerale del boss Pompeo a Milano: 8 anni dopo tre inchieste svelano il potere della ’ndrangheta al NordI Papaniciari arricchiti «con i milioni di euro all’Isola»
Ci si lamenta, infatti, della presenza della cosca Megna nel territorio di Isola Capo Rizzuto e soprattutto del fatto che i “cristiani” si arricchivano con «i milioni di euro all’Isola». Il punto è che «i soldi delle macchinette vengono a prenderseli i Papaniciari» e i ricavi vengono quantificati in 300-400mila euro al mese. La questione è delicata e Masciari non si spiega perché i Megna abbiano campo libero sul loro territorio. Il motivo, per i suoi interlocutori, sarebbe un patto siglato con gli Arena che, in quella fase, non avrebbero avuto figure abbastanza autorevoli da evitare l’ingerenza esterna.
Di certo si tratta di affari milionari sui quali i Papaniciari avrebbero maturato un’esperienza importante ed «erano addentro al settore anche da un punto di vista tecnico, a differenza degli isolitani».
’Ndrangheta, la pax mafiosa a Isola Capo Rizzuto: storia di una faida sanguinosa chiusa in nome del denaroPapanice come una nuova Corleone
Questa espansione del clan di Papanice viene vissuta con fastidio da una parte degli Arena. Uno dei presunti membri del clan è pronto alla guerra: a Masciari dice che sarebbe disposto «a uccidere o a farsi uccidere pur di non farsi sopraffare da alcuno». Poi traccia un parallelismo con gli equilibri all’interno di Cosa nostra nel periodo tra gli anni 80 e 90. Per lui è come se Papanice fosse una sorta di nuova Corleone che estendeva la propria influenza su Isola Capo Rizzuto come avvenuto per il gruppo guidato da Riina rispetto ai clan di Palermo. Le voci registrate dagli investigatori riferiscono del disagio da parte della cosca Arena, che si sarebbe accontentata del 20% della torta milionaria del gaming: un guaio anche per i detenuti, il cui sostentamento dipendeva, almeno in parte, dagli introiti delle “macchinette”.
Masciari sa che il business è importante e – è l’interpretazione dei magistrati antimafia – inizia a interessarsi del settore. Ne parla con un uomo, non indagato nell’inchiesta Blizzard-Folgore, che viene individuato dal pentito Giuseppe Giglio come vicino agli affari del boss “milanese” Pompeo e di Antonio Bruno. Assieme a Bruno, infatti, sarebbe stato mandato in Albania per la costituzione di una società. Di ritorno da un viaggio al Nord, è lo stesso Masciari a tornare sull’argomento ed evidenza di aver incontrato l’amico Paolino, che «gli avrebbe fatto sapere in ordine alla problematica delle macchinette».
Il rischio della guerra tra Papanice e Isola Capo Rizzuto
La propaggine settentrionale della cosca Arena punta all’affare e si rivolge a un contatto capace di trovare una piattaforma adatta e magari aprire accordi con altre realtà criminali: nelle intercettazioni si fa riferimento a un patto con i Casalesi e a una serie di attività a Isola Capo Rizzuto. L’idea è quella di allestire i nuovi punti vendita evitando di entrare in conflitto con il clan Megna di Papanice: evita di «fare una guerra», dice a Masciari uno dei suoi interlocutori.
L’insofferenza nei confronti dei Papaniciari quasi si respira nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta: Masciari pensa di trovare le macchinette che gli servono a Caserta e si dice pronto «ad affrontare con le armi» chiunque voglia intromettersi negli affari di Isola Capo Rizzuto: «Quelli si fregano i soldi – dice – e noi poi manteniamo i carcerati e gli avvocati». Davanti a un affare a sei zeri il rischio di una guerra è sempre dietro l’angolo.