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10/12/2025 ore 07.06
Cronaca

Antonio Scimone, l’imprenditore di Melito e la “via segreta” ai Servizi: soffiate sui clan e una Golf per il maresciallo

Un’informativa della Dia di Reggio Calabria ricostruisce i contatti tra Antonio Scimone e il maresciallo Michele Bruschi, con l’obiettivo di inserire l’imprenditore negli apparati di sicurezza in cambio di un’automobile (e di notizie sulle cosche della Locride)

di Pablo Petrasso
Acting Director of U.S. Secret Service Ronald Rowe Jr. is seen as a silhouette against a reflection, as he testifies during a joint Senate Judiciary Committee and Senate Homeland Security and Governmental Affairs Committee hearing about security failures leading to the assassination attempt of former President Trump, at the U.S. Capitol, in Washington, D.C., on Tuesday, July 30, 2024. (Graeme Sloan/Sipa USA)

Una Golf in cambio di un colloquio per entrare nell’intelligence. È il patto tra Michele Bruschi, maresciallo dei carabinieri in servizio in Calabria, e l’imprenditore Antonio Scimone, da anni nelle inchieste delle Dda di Reggio Calabria e Firenze. In riva allo Stretto Scimone è ancora sotto processo (sugli sviluppi dell’inchiesta Martingala), in Toscana è stato condannato (l’inchiesta in questo caso è Vello d’oro) a 5 anni 4 mesi per usura ed episodi di riciclaggio senza l’aggravante mafiosa.

C’è un’altra inchiesta, approdata allo step della chiusura indagini, che ha per protagonista l’imprenditore di Melito Porto Salvo e si snoda lungo una trama che incrocia presunto riciclaggio internazionale, reti imprenditoriali fittizie, rapporti opachi con la ‘ndrangheta e un obiettivo sorprendente: l’ingresso nei Servizi segreti.

È il quadro delineato da un’informativa della Dia di Reggio Calabria e ora cristallizzato nella chiusura delle indagini della Procura reggina a carico di 15 persone. Secondo l’accusa, il gruppo avrebbe gestito un articolato sistema di società “cartiere”, in Italia e all’estero, ricorrendo a flussi finanziari giustificati da «falsa documentazione contabile, fiscale e di trasporto merci», così da fornire agli imprenditori «una società di servizi illeciti» capace di ripulire e reimpiegare capitali di provenienza delittuosa, anche infiltrandosi negli appalti pubblici.

Il presunto ruolo di Antonio Scimone

Scimone è considerato promotore e regista dell’associazione. Attorno a lui, una rete fatta di complicità tra cui spicca quella del maresciallo dei carabinieri Michele Bruschi, indicato come figura chiave del sistema e pronto a mettere le proprie funzioni al servizio dello schema criminale.

È proprio l’informativa a svelare un capitolo inedito: il tentativo di far entrare Scimone nei Servizi segreti, sfruttando i rapporti “istituzionali” di Bruschi. Un progetto che, secondo gli investigatori, non nasceva certo da ragioni di sicurezza nazionale: dietro al tentativo ci sarebbero stati interessi privati e convenienze spicciole.

La trattativa per entrare nei Servizi segreti

Nelle 380 pagine dell’informativa, gli investigatori ricostruiscono scambi, richieste, pressioni, favori e contropartite. Le conversazioni tra i due mostrano un disegno chiaro nella sua semplicità. Bruschi avrebbe abusato del proprio ruolo «per compiere un atto contrario ai doveri del proprio Ufficio, consistente nel far assumere Scimone nei Servizi Segreti, bypassando la procedura di reclutamento» e accettando come ricompensa una Volkswagen Golf GTD.

La Dia documenta settimane di messaggi e scambi finalizzati a costruire l’immagine di Scimone come “fonte affidabile” sfruttando notizie sensibili su indagini in corso. È Bruschi a sollecitare: «Uomo ma te riesci a sapere qualcosa di Siderno? Mi fai sapere qualcosa?». E Scimone risponde: «Certo».

Da quel momento in poi, scrive la Dia, si attiva «una febbrile attività» dello stesso Scimone, che fornisce dettagli sull’omicidio di “Mino” Muià, vicerè del clan Commissio a Siderno, avvenuto in quei giorni. Informazioni che – è l’ipotesi, tutta da provare, dell’accusa – non sarebbero state frutto di voci ma dell’accesso strutturale ai circuiti criminali: «Gli devi far capire che nelle condizioni in cui sono, possiamo entrare nei discorsi di tutti». Una frase che per la Dia «dà sostanza ai gravi indizi circa il suo inserimento nella criminalità organizzata mafiosa».

I messaggi successivi, per gli investigatori, proverebbero che la frase di Scimone non è frutto di vanteria: «Tenete sotto cura il fratello prima che combina qualche cazzata che non si può sistemare», «La serpe è in casa». Indicazioni che sembrerebbero trovare riscontro nelle successive risultanze investigative dell’operazione “Canadian ’Ndrangheta Connection”.

La promessa della Golf e la “procedura” di arruolamento

Il dialogo tra i due si intensifica tra il 2017 e il 2019. Scimone mostra un vero e proprio entusiasmo per il possibile arruolamento: «Mi appassionano i segreti d’Italia», «Digli che se non hanno nessuno posso essere il referente per Bianco». Bruschi pretende in cambio la ricompensa pattuita: «Golf per metterti in contatto e mettere buona parola», «Per farti entrare altro che Golf».

Secondo l’informativa, Bruschi spiega che per entrare nell’intelligence servono «notizie serie», e Scimone si mette all’opera inviando presunti aggiornamenti su sbarchi di droga e armi («a volte di droga altre volte di armi e materiale esplosivo») previsti tra Bovalino e Africo in base alle condizioni meteomarine.

A un certo punto, scrive la Dia, Scimone chiede persino chiarimenti pratici: «Ma ci sono vantaggi o solo Croce Rossa».

Incontri protetti, luoghi “bonificati” e rancori contro la Polizia

I rapporti tra i due proseguono anche durante la detenzione di Scimone, con Bruschi che si tiene aggiornato sulla sua situazione. Dopo la scarcerazione, i contatti riprendono con ancora più cautela. Gli incontri avvengono in luoghi “sicuri”: la chiesa di Tutti i Santi, il cimitero di Bianco, l’abitazione di Scimone che, come scrive lui stesso, era stata «bonificata».

In uno scambio del luglio 2019, Bruschi commenta con rabbia un fermo della Polizia di Stato: «Solo chiacchiere», «Polizia no good». Scimone risponde collegando le misure cautelari all’esigenza di evitare faide: «Ma lo hanno fatto per non far succedere qualcosa a Siderno...».

Il rapporto tra Bruschi e Scimone 

Il quadro che emerge dall’informativa è quello di un rapporto simbiotico: Bruschi cerca vantaggi materiali e Scimone, consapevole della propria forza informativa nel mondo criminale, prova a sfruttarla per scalare verso il livello più sensibile dello Stato, quello dell’intelligence.

Un progetto che la Dia definisce in modo netto: il maresciallo era «chiaramente consapevole del ruolo (anche in questo caso tutto da provare, ndr) ricoperto da Scimone in seno alla criminalità organizzata», e nonostante questo «si impegnava a facilitarne l’ingresso nei Servizi segreti».

Un disegno che, secondo gli investigatori, non riuscì a compiersi solo per una serie di circostanze esterne: «l’insediamento del nuovo Governo», le «ferie estive» e soprattutto un articolo sul Sole 24 Ore che aveva «creato una certa apprensione nella gerarchia dell’intelligence».