«Bastarda, qualche volta ti ammazzo», 40 anni di maltrattamenti alla moglie: condannato 67enne di Gizzeria
Tre anni di reclusione decisi dal giudice monocratico di Lamezia Terme. Minacce e ingiurie per futili motivi legati alla gelosia e all’alcol all’origine delle violenze
«Bastarda, qualche volta ti ammazzo». Dal 1982 al 2021, una donna, oggi 61enne, ha vissuto subendo le vessazioni del marito. L’uomo, C. R. 67 anni, di Gizzeria, è stato condannato a tre anni di reclusione dal giudice monocratico di Lamezia Terme Maria Giulia Agosti.
In particolare l’uomo è accusato di aver maltrattato per oltre 40 anni la moglie, sottoponendola a continue vessazioni ed umiliazioni, oltre ad averle provocato in diverse circostanze lesioni personali come la frattura di un dito (mentre era incinta) o delle contusioni. Futili motivi legati alla gelosia e all’alcol avrebbero spinto il 67enne alle violenze, minacce e ingiurie causa per la vittima di umiliazioni, privazioni, disagio e continui timori.
Percosse con strattonamenti e schiaffi, pugni anche in testa, minacce di farla finire in sedia a rotelle, sputi. Nel 2021 la donna si è rifugiata in casa della figlia perché lui l’accusava di averlo tradito anni prima e minacciava di ucciderla. L’ira dell’uomo si sarebbe, allora, rivolta contro madre e figlia con la minaccia di ucciderle se avessero presentato domanda di separazione.
La Procura di Lamezia, all’esito di un’articolata istruttoria dibattimentale, aveva chiesto la condanna dell’imputato, difeso dall’avvocato Eugenio Durante, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Anche tenuto conto del fatto che già in passato la donna aveva denunciato l’imputato per vicende analoghe, rispetto alle quali l’uomo si era difeso in sede di interrogatorio affermando di averle dato solo qualche schiaffo e niente di più.
La parte civile T. M. C., difesa dall’avvocato Aldo Ferraro, ha messo in evidenza come troppo spesso, in processi del genere, si corra il rischio di ritenere che sia la persona offesa a doversi difendere dando la prova delle vessazioni e dei soprusi compiuti ai propri danni tra le mura domestiche, che in quanto tali non avvengono mai alla presenza di testimoni, e che debba essere superata l’erronea convinzione che la stessa si costituisca parte civile per accampare pretese economiche, quando invece ciò avviene al solo fine di contribuire ad un accertamento processuale il più aderente possibile alla realtà, nella consapevolezza che nessun ristoro economico potrà mai lenire le sofferenze subite.
La difesa dell’imputato, rappresentata in udienza dall’avvocato Sergio Vescio, ha posto l’accento sulla insussistenza dei fatti denunciati dalla persona offesa, che sarebbero stati confermati solo da una delle figlie della coppia, ma negati dall’altra figlia nonché da amici e parenti dell’imputato.
Tre anni di reclusione è stata, infine, la decisione del giudice di primo grado, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, anche tenuto conto che nei confronti dell’uomo pende un altro procedimento penale per la violazione del divieto di avvicinamento alla persona offesa che gli era stato applicato in fase di indagini, nel quale l’imputato ha già avanzato richiesta di patteggiamento con il consenso del pubblico ministero.