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20/05/2025 ore 09.30
Cronaca

Blitz a Lamezia, 8 arresti: nel mirino gli affari della cosca Iannazzo. Sequestrata una società di autonoleggio – NOMI

VIDEO | Secondo quanto emerso dalle indagini il gruppo criminale avrebbe continuato a esercitare il controllo del territorio nonostante la detenzione della maggior parte dei consociati tramite la moglie del boss

di Redazione Cronaca

Stamattina, nel circondario di Lamezia Terme, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro ed agenti della Polizia di Stato di Catanzaro e Lamezia Terme, con il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno dato esecuzione a un provvedimento cautelare emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro, nei confronti di 8 indagati (6 in carcere, 2 agli arresti domiciliari), sulla base della ritenuta sussistenza di gravi indizi in ordine ai delitti, a vario titolo ipotizzati, nei loro confronti, tra cui associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, detenzione di armi da fuoco. Eseguito anche il sequestro preventivo di una società di autonoleggio, la Unirei srl, e di una somma di denaro per un ammontare di 7820 euro

Blitz a Lamezia, gli arrestati

Questi i nomi delle persone arrestate.

In carcere:

Francesco Amantea (classe ‘56);

Antonio Iannazzo detto mastro ‘Ntoni (classe ‘57);

Francesco Iannazzo detto U Cafarone (classe ‘55);

Pierdomenico Iannazzo (classe ‘79);

Vincenzo Iannazzo (classe ‘90);

Giovannina Rizzo (classe ‘55).

Ai domiciliari:

Emanuele Iannazzo (classe ‘81);

Giuseppe Ruffo (classe ‘90).

La nuova fase della cosca Iannazzo dopo Andromeda

L'indagine - condotta dal Nucleo Investigativo di Lamezia Terme dal giugno 2020 al settembre 2023, attraverso attività tecniche e arricchita da emergenze di altri procedimenti penali riguardanti fatti delittuosi accaduti nel 2024 - ha permesso di appurare la perdurante operatività della cosca Iannazzo, in una fase successiva all’esecuzione di più ampie operazioni di polizia che hanno condotto, il 14 maggio 2015 e 22 febbraio 2017, alla decimazione della compagine associativa Iannazzo-Cannizzaro-Daponte.

Il peculiare momento storico inquadrato dall'inchiesta è quello successivo all'esecuzione delle misure cautelari del procedimento comunemente denominato "Andromeda", caratterizzato dalla decimazione della compagine associativa ‘ndranghetista e dai conseguenti sforzi dell'associazione familistica di riorganizzare e riprendere le attività illecite costituenti il programma sociale. Tali sforzi sono stati resi più complicati da eventi esiziali per la vitalità del clan, come il passaggio in giudicato delle sentenze di condanna del capocosca e la detenzione degli altri consociati. In questo momento di fibrillazione del gruppo, sono risultate fondamentali le figure della moglie del boss e di uno dei suoi uomini più fidati, mai coinvolti nelle precedenti vicende giudiziarie. Quest'ultimi si erano fatti carico di fronteggiare la momentanea carenza di risorse economiche e la correlata necessità di rinvenire fondi per sostenere le spese legali e sostentamento dei carcerati, raccogliendo denaro da soggetti estorti o conniventi e conducendo attività economiche fittiziamente intestati a terzi.

Il ruolo della moglie del boss

Difatti, l’organizzazione criminale, operante nei quartieri di Sambiase e Sant'Eufemia di Lamezia Terme (comprensiva dell’area industriale), in una composizione soggettiva più ridotta a causa della detenzione della maggior parte dei consociati, per il tramite della moglie del capocosca, ha continuato a esercitare il controllo del territorio, intervenendo nei litigi e nelle controversie civilistiche tra privati o assicurando "protezione" da aggressioni al patrimonio e all’incolumità personale, e a compiere attività di estorsione e usura, reinvestendo i capitali accumulati in aziende di comodo gestite in maniera occulta, ma di fatto formalmente intestate a soggetti terzi "fittizi".

Nello specifico è emerso che il sodalizio mafioso, anche al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, attribuivano fittiziamente le quote di una società di autonoleggio, presente nella zona dell'aeroporto, a un prestanome che gestiva l'azienda coadiuvato dalla moglie, dipendente dell'impresa, eseguendo le direttive e operando sotto il controllo dei proprietari e amministratori occulti, che mensilmente raccoglievano i dividendi provento dell'attività.

Il figlio del capo comunicava dal carcere grazie a un cellulare

Alcune direttive sulla gestione degli affari di famiglia provenivano anche dal carcere, dove il figlio del boss riusciva, attraverso un cellulare occultato nella cella, a comunicare all’esterno.

Agli atti del fascicolo, sono presenti degli episodi di estorsioni, di cui l’ultima in ordine di tempo, tentata ai danni di un imprenditore edile che aveva appena comprato un capannone nell'area industriale. In un'altra occasione, gli arrestati, con minacce esplicite e implicite di azioni violente contro la persona o i suoi beni in caso di rifiuto che sarebbero state perpetrate da esponenti della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, costringevano un debitore dell'autonoleggio a pagare una somma di denaro superiore a 2150 euro, quale riscossione di un credito controverso senza ricorrere ad azioni legali.