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09/07/2025 ore 07.01
Cronaca

Bruciature in faccia e sul corpo: le torture della ’ndrangheta al pusher «infame» in 10 video stile Arancia Meccanica

Il materiale trovato nell’iPhone di Francesco Marando racconta il rapimento e la punizione ai danni di uno spacciatore del quartiere San Basilio a Roma. Legato mani e piedi sarebbe stato ustionato dagli uomini del clan con bomboletta spray e accendini

di Pablo Petrasso

Nell’iPhone X di Francesco Marando c’è una storia che pare presa da una serie crime o, per i cinefili, da Arancia Meccanica. Ciccio, uno dei capi del clan calabrese che smerciava cocaina e hashish a Roma, aveva conservato qualche file a scopo pedagogico: per ricordare agli spacciatori della Capitale – almeno di quel pezzo di città di cui i Marando avrebbero avuto il controllo – che con la ’ndrangheta non si scherza e se fai l’infame, secondo la logica distorta del clan, la paghi cara.

Colpirne uno per educarne cento

In una serie di file audio e video raccolti nell’inchiesta Anemone della Dda di Roma sarebbe documentato un episodio che, per il gip, «è di assoluta gravità e dà contezza dello spessore criminale degli indagati». Riguarda il rapimento di C. L., presunto spacciatore del quartiere San Basilio: caricato a forza su un’auto sarebbe stato portato in un cortile condominiale, mani e piedi legati con fascette in plastica, e poi minacciato. Nudo e immobilizzato, il pusher sarebbe stato picchiato e insultato. Il gruppo gli avrebbe poi procurato bruciature sul corpo usando accendini e bombolette spray. E ancora mortificazioni e trattamento umilianti tutti finiti in una serie di video da diffondere. La logica? Unum castigabis, centum emendabis oppure – se si sceglie la massima attribuita a Mao Zedong – “colpirne uno per educarne cento”.

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Dieci video per una tortura

Sarebbero dieci i video salvati nella memoria dell’iPhone di Marando che, secondo gli investigatori, «documentano una vera e propria tortura» nei confronti di un pusher noto ai carabinieri perché avrebbe il proprio business nella piazza di spaccio La Lupa a San Basilio. Sono i file a svelare la durata dell’episodio: circa un’ora, «accompagnata da dileggio e mortificazioni di ogni genere».

La colpa di C. L.? Avrebbe gettato via alcuni involucri con la droga durante un controllo delle forze dell’ordine e si era dato alla fuga mettendo a rischio di suoi “soci”. Un comportamento da «infame» che, nell’impero dei Marando non sarebbe stato tollerato ma punito allestendo una gogna pubblica, ancorché virtuale.

Il rapimento del pusher 

Il primo video inizia con una persona, che gli inquirenti identificano in Federico Mennuni, che fa avvicinare un giovane all’auto nella quale si trova e gli spruzza qualcosa negli occhi usando una bomboletta spray. Questo racconto della tortura in diretta continua con il solito Mennuni e un altro indagato, Francesco Mozzetta, che caricano con la forza lo spacciatore nel bagagliaio di una Smart Four Four: non ci riescono e lo spostano sul sedile anteriore lato passeggero («fallo montare zì, lo devi far montare per forza»).

Nel terzo video C. L. viene trascinato giù per le scale di uno dei comprensori del quartiere San Basilio: ha i piedi legati da una fascetta di plastica, anche le mani sono bloccate. Tutt’intorno, altre persone ridono.

«A San Basile chi sbaglia paga»

I file scorrono assieme alle angherie di Marando&Co. Con il volto tumefatto e le labbra sanguinanti, il pusher viene portato in un cortile condominiale: ha i pantaloni abbassati. Poi viene adagiato a terra: accanto a lui Mennuni regge una bomboletta spray e un accendino. I suoi carnefici gli chiedono perché ha fatto «quella cosa»: scappando via durante un controllo avrebbe gettato la droga addosso agli altri e si sarebbe chiuso all’interno di un portone lasciando fuori i propri compari. La punizione contempla l’uso della bomboletta spray assieme all’accendino come un piccolo lanciafiamme. «A San Basilio – sintetizza l’informativa – non c’è posto per gli errori. Chi sgarra paga».

«Se strilli ti ammazzo»

Da una scena all’altra si vede C. L. ficcato in un carrello della spesa che viene fatto ribaltare. Finisce con il viso rivolto verso il terreno e la caduta viene accompagnata da un consiglio: «Se strilli calcola che ti ammazzo».

La punizione continua con colpi di un ombrello sui genitali, nuove bruciature su capelli, mani e polpacci, percosse. La vittima si definisce un infame e riceve in cambio una bruciatura in faccia e una sulla caviglia. Marando chiede a Maurizio Miconi, volto noto alle forze dell’ordine, di prendere a schiaffi lo spacciatore dopo avergli spiegato il motivo della punizione. Le botte partono e il gruppo ride «a crepapelle». Tutto avviene in spazi condominiale e in parte su una strada pubblica, senza che nessuno intervenga.

Per il gip non ci sono dubbi: ci sono i presupposti per contestare il reato di tortura. E il messaggio dei Marando viene recapitato a tutta la piazza di spaccio di San Basile: con loro non si scherza.