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25/08/2025 ore 06.15
Cronaca

Calabria, sogni infranti e giovani in fuga: viaggio tra le ferite di una terra dove le potenzialità sono una prigione

Strade dissestate, borghi fantasma, treni lenti e giovani che emigrano: la Calabria resta sospesa tra incanto e fallimento. La prima di tre puntate per raccontarne il presente e pensare il futuro

di Francesco Vilotta

C’è una parola che in Calabria si ripete da decenni, come un disco rigato che continua a girare: potenzialità.
La Calabria avrebbe potenzialità nel turismo, nella cultura, nell’agricoltura, nell’energia. La Calabria avrebbe potenzialità nei suoi giovani, nella sua posizione geografica, persino nella sua luce, che sa essere unica al mondo.
La Calabria avrebbe. Ma non ha.
E allora sorge il sospetto che ciò che chiamiamo potenzialità non sia altro che un’altra parola per definire l’empasse e l’apatia che la divorano. Non è energia pronta a esplodere, ma rassegnazione lucida: un popolo che si è abituato a sopravvivere. Adattandosi al peggio, come un albero che cresce storto perché nessuno ha avuto la forza di raddrizzarlo.
Così diventiamo professionisti del lamento. Ci sfoghiamo sui social, nei bar, nelle piazze, raccontandoci ogni giorno le stesse storie: la sanità che non funziona, il turismo che non decolla, il lavoro che non c’è, le strade dissestate, i treni che non passano, i giovani che scappano. Una litania eterna che consola ma non cambia nulla. Perché lamentarsi non costa nulla, ribellarsi e costruire sì.
Ma per capire cosa significa “potenzialità tradite”, basta guardarsi intorno.
A Pentedattilo, borgo abbandonato sotto la roccia dell’Aspromonte, così come nel centro storico di Cosenza le case crollano mentre associazioni di volontari cercano di salvarne almeno la memoria.
A Copanello, un tempo perla del turismo ionico, un grande albergo è diventato un rudere coperto di erbacce, mentre a Sibari gli scavi di una delle città più opulente della Magna Grecia languono tra incuria e abbandono.
Le ferrovie joniche viaggiano su un solo binario, lento, senza alta velocità, come se il tempo qui fosse rimasto fermo agli anni ’60. La stessa sensazione la prova un turista che visita la Sila, dove i servizi sembrano appartenere a un’altra epoca.
E intanto i giovani partono: ogni anno oltre 20 mila calabresi lasciano la regione. Non numeri: volti, vite, sogni che se ne vanno con un trolley e non tornano più.
Roberto Occhiuto ha lasciato la Presidenza della Regione. Dimissioni improvvise, teatrali, che lasciano la Calabria come una nave immobile nel bel mezzo di una tempesta. Qualcuno applaude, qualcuno si indigna, molti alzano le spalle. È la reazione tipica: un colpo di scena in più, un teatrino che passa, come se nulla fosse. Intanto la campagna elettorale sarà brevissima, bruciata in poche settimane di slogan. E la domanda vera non sarà “chi vincerà tra i due candidati Roberto Occhiuto e Pasquale Tridico?”, ma quale Calabria intendono costruire dopo queste elezioni inattese?
La Calabria è come una cartolina strappata a metà: da un lato il mare che incanta i turisti, dall’altro i binari vuoti delle stazioni dove partono i suoi figli. È una bellezza che non consola, perché subito dopo ti ricorda ciò che perdi.
È la regione che ti strappa gli occhi di bellezza e subito dopo ti prende a schiaffi con la miseria. È la madre che ti dona il latte più dolce e subito dopo ti lascia morire di fame. Un luogo crudele, claustrofobico, dove il presente è imbavagliato e il futuro non nasce mai.
Eppure, non possiamo accontentarci di questa rassegnazione. Non possiamo ridurci a guardiani del nulla, a spettatori stanchi che parlano sempre di ciò che potrebbe essere senza mai pretendere che sia.
Per questo nasce questa trilogia. Tre articoli, tre ferite aperte nella carne viva della Calabria.
Il primo, un ritratto della nostra condanna quotidiana, fatta di potenzialità che non diventano mai realtà.
Nel secondo la lama entrerà più a fondo, per raccontare il potere invisibile che paralizza ogni cambiamento: quella rete che lega ‘ndrangheta, massoneria deviata, colletti bianchi e politica in un unico corpo malato.
Nel terzo, lanceremo la sfida a chi oggi chiede il voto: che Calabria volete costruire? Quale futuro siete pronti a offrire, senza slogan e senza inganni?
Questa non è una serie di articoli. È un atto di responsabilità civile. È la scelta di non accontentarsi più delle chiacchiere da bar e dell’informazione troppo prudente o troppo piegata a logiche o interessi di parte.
È infilare la lama dove fa male, senza paura.
Perché la Calabria forse può ancora salvarsi.
E ricordiamolo: le potenzialità sono diventate la nostra prigione. E una prigione, anche se ha il mare davanti e i boschi alle spalle, resta sempre una prigione.