«Cataldo Marincola è il capo di mezza Calabria». Le confessioni dell’ex killer che non vuole più deludere i suoi figli
Nei brogliacci dell’inchiesta sull’omicidio di Vincenzo Pirillo, le ragioni che hanno portato Gaetano Aloe a collaborare. Il corso di religione in prigione, il vero boss di Cirò, chi non conta più nulla il rifiuto di uccidere ancora
di Alessia Truzzolillo
I nuovi arresti effettuati questa mattina in merito all’omicidio di Vincenzo Pirillo, avvenuto il cinque agosto 2007, scaturiscono dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Aloe. Al momento l’unica condanna per il delitto di Cenzo, come veniva chiamato Pirillo, è quella inflitta, quale presunto mandante, dalla Corte d’Assise di Catanzaro, a Cataldo Marincola, boss della cosca di Cirò, Farao-Marincola. Aloe non solo si autoccusa del delitto ma punta il dito anche su altri partecipi: Franco Cosentino, detto Sazizza, si sarebbe recato nel locale insieme ad Aole a bordo di uno scooter e col volto nascosto da un collant rosa. I due sarebbe stati avvertiti sul luogo da raggiungere da Palmiro Salvatore Siena. Una volta giunti nell’affollata veranda del ristorante avrebbero cominciato a sparare, Aloe con una calibro 38, arma fornita da Vito Castellano, e Cosentino con una pistola calibro 9x21 fornita da un soggetto ancora ignoto. La scarica dei colpi parte all’impazzata, tanto che Cosentino scivola per terra. Quattro colpi raggiungono Pirillo, e lo portano alla morte nell’ospedale di Crotone, mentre una bambina che sedeva sulle sue ginocchia viene ferita a una spalla.
L’agguato a Cenzo Pirillo
A dare il placet per l’agguato sarebbe stato anche Martino Cariati che in un primo momento avrebbe proposto di far sparire Pirillo ricorrendo alla lupara bianca. Ma è avvenuto esattamente il contrario: una pioggia di fuoco in un luogo affollatissimo che ha portato al ferimento di cinque persone, compresa la bambina.
La strage, è questo il reato contestato agli indagati, sarebbe avvenuta per futili motivi, ovvero perché Vincenzo Pirillo, all’epoca reggente della cosca Farao-Marincola, visto che i vertici Cataldo Marincola e Silvio Farao erano latitanti, era accusato di gestire male gli affari illeciti della consorteria e di essersi accaparrato una fetta del mercato dello spaccio di droga senza avvertire i suoi capi.
Oltre al reato di strage gli indagati sono accusati anche di reati in materia di armi e lesioni personali. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso.
Galera e Bibbia per Gaetano Aloe
Il 22 marzo 2023, quando Gaetano Aloe intraprende il suo percorso di collaborazione con la Dda di Catanzaro, la prima domanda che il sostituto procuratore Domenico Guarascio, oggi procuratore capo di Crotone, gli rivolge è perché si è deciso a parlare con l’autorità giudiziaria.
«Perché io mi sono fatto la galera dottò», è la immediata risposta di Aloe il quale, poi, aggiunge che in carcere, dopo gli arresti dell’operazione Stige, seguiva un corso biblico che gli ha permesso di vedere, quando è uscito, tutte le storture del sistema: troppi abusi, troppa droga, troppe persone senza soldi da vessare. E dato che, una volta uscito di prigione, i fidati della cosca presenti a Cirò erano lui e un altro (visto che la maggior parte di capi e sodali si trovava in prigione) Aloe non se l’è sentita più di fare quella vita, di andare a vessare i cristiani per estorcergli denaro. Era stanco anche di aver deluso i propri figli perché aveva promesso loro che una volta uscito si sarebbe messo a lavorare.
Marincola, il capo di mezza Calabria
Qualche tempo dopo la scarcerazione di Aloe, viene scarcerato anche Cataldo Marincola che lo manda a chiamare. Secondo il collaboratore, ex killer per la cosca di Cirò, Cataldo Marincola è il capo di mezza Calabria, un uomo che ha preso tutto nelle sue mani.
La domanda del procuratore nasce spontanea: che ruolo hanno rispetto a Marincola, altri boss del cirotano come Giuseppe Silvio Farao?
Secondo Aloe non sono nessuno, gente buona a niente che scappa quando c’è guerra.
Anzi, Aloe dice di più - «ti fazzu, ti passu na novità dottò» -, racconta che Giuseppe Farao è stato tolto dalla copiata, prima c’era come capo e ora non c’è più.
L’eredità abbandonata
Gaetano Aloe è figlio di Nicodemo Aloe, detto Nick, storico capo di Cirò, assassinato nel 1987. Per una sorta di diritto di nascita, Gaetano Aloe ha un accesso diretto all’associazione ‘ndranghetista e riceve la dote del Vangelo dopo l’omicidio di Vincenzo Pirillo. Ma quando intende smettere di delinquere si rifiuta di partecipare all’omicidio di Luca Frustillo, ben consapevole che sottraendosi a quella richiesta avrebbe compromesso la sua posizione all’interno del locale e rischiato anche la morte. Ma la sua risposta è ferma: «No, non lo faccio dottò».