Delitto Caccia, ecco le foto della pistola che può riscrivere il caso del procuratore di Torino ucciso dalla ’ndrangheta
Le indagini riaperte dopo il ritrovamento dell’arma nell’abitazione di Franco D’Onofrio, presunto boss legato alle cosche del Vibonese. La consulenza balistica: il revolver e i proiettili compatibili con quelli che hanno causato la morte del magistrato ucciso nel 1983
di Pablo Petrasso
È un revolver Smith&Wesson, una calibro 38 special «in ottime condizioni di conservazione». Ed è un’«arma che presenta una compatibilità di classe (stessa tipologia di arma e calibro) con quella che ha causato l’uccisione del procuratore della Repubblica Bruno Caccia in data 26 giugno 1983».
I test di sparo ottenuti dalla pistola evidenziano che «i proiettili presentano 5 rigature con andamento destrorso». Anche in questo caso «risulta una compatibilità di classe d’arma (stesso calibro, numero di rigature, andamento destrorso) dei proiettili rinvenuti sulla scena dell’omicidio con i proiettili ottenuti dai test di sparo con il revolver Smith&Wesson in calibro 38».
Le frasi contenute nella consulenza balistica finita agli atti dell’inchiesta Factotum potrebbero cambiare la storia di un omicidio eccellente e irrisolto. Bruno Caccia aveva messo nel mirino le infiltrazioni della ’ndrangheta in Piemonte e la ’ndrangheta lo ha ucciso: ipotesi che torna ciclicamente nelle dichiarazioni dei pentiti e che oggi si riaffaccia proprio grazie al nuovo materiale inviato dai pm torinesi ai colleghi di Milano e che potrebbe portare alla riapertura del caso.
Il reperto principe è proprio la pistola che fu trovata in casa di Franco D'Onofrio nel settembre del 2024. Era nascosta all'interno di un muro e gli investigatori l’hanno scoperta in occasione del suo arresto nell'inchiesta Factotum.
D’Onofrio è il presunto boss delle cosche calabresi in Piemonte: lui nega tutto, dice che i pentiti su di lui inventano. Anche (e forse soprattutto) Andrea Mantella che lo ha ricollegato all’omicidio del magistrato: «Dice cose incredibili», sostiene.
Sulla pistola trovata a casa sua, D’Onofrio racconta la sua verità in un interrogatorio molto recente. E dice di averla tenuta a casa perché temeva per la propria incolumità: «Mi è venuta paura perché, con quello che si diceva di me, da certi paesi della Calabria possono arrivare dei colpi. Ancora oggi ho paura».
La consulenza balistica, in 40 pagine, racconta la storia di quell’arma: fabbricata negli Stati Uniti e venduta a una ditta californiana il 22 novembre 1975, è stata importata in Italia e poi acquisita da un’armeria di Moncalieri nell’aprile del 1979. A chi sia stata venduta prima di arrivare tra le mani di D’Onofrio non si sa: i registri dell’epoca non sono stati trovati e il presunto boss spiega di averla «comprata da un ragazzo di Moncalieri intorno al 2000, ma su di lui non vi dirò altro».
D’Onofrio dice anche di non averla mai usata e di averla tenuta (con una certa cura) per via della «cattiva pubblicità» che gli è piovuta addosso nel corso degli anni: hai visto mai che qualcuno volesse fargli del male.