Sezioni
Edizioni locali
29/12/2025 ore 18.09
Cronaca

Fondi ad Hamas, i dubbi del prof Diddi (Unical): «Notizie da 007 israeliani. E poi così ogni Ong a Gaza è terrorista»

Secondo il penalista e docente universitario, l’accusa che lega il denaro arrivato in Palestina presenta alcuni punti fragili e rischia di criminalizzare automaticamente attività umanitarie

di Redazione Cronaca
Roma - 05/11/2015 Roma, prima udienza del processo Mafia Capitale. Nella foto l'avvocato Alessandro Diddi, avvocato di Salvatore Buzzi

Un software spia sarebbe stato installato nei computer di un’associazione genovese con l’obiettivo di tracciare i presunti fondi destinati alla popolazione palestinese. Secondo l’accusa, però, queste somme sarebbero finite nelle mani di Hamas. È il fulcro dell’inchiesta che nei giorni scorsi ha portato a 9 arresti e reso incandescente il dibattito politico. La documentazione su cui si basa l’inchiesta sarebbe stata fornita agli 007 italiani e alla procura di Genova dall’intelligence israeliana. Nonostante la gravità delle accuse, diversi esperti legali mettono in dubbio la solidità dell’impianto probatorio, evidenziando criticità giuridiche e penali.

Fondi ad Hamas, pc nascosti e soldi nei camion ma i difensori di Hannoun protestano: «Accuse costruite da Israele»

Dubbi sull’origine delle prove

Secondo Alessandro Diddi, penalista all’Università della Calabria ed esperto di criminalità organizzata, l’inchiesta presenta diversi punti fragili. La sua posizione sembra allinearsi con i legali di Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia e tra gli arrestati con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo. I difensori sostengono che l’accusa sia «largamente costruita su elementi probatori e valutazioni giuridiche di fonte israeliana», senza possibilità di controllo sui contenuti.

«È singolare che la prova di possibili collegamenti tra i destinatari di queste somme e Hamas sia data solo da report che vengono dall’autorità militare israeliana o dai loro servizi segreti», ha dichiarato Diddi al Messaggero. «Non è ben chiaro in che modo (la documentazione, ndr) sia pervenuta. Se fosse arrivata da un’autorità giudiziaria, sarebbe stato tutto molto più trasparente».

Finanziamenti ad Hamas, ecco le intercettazioni: così operava la rete smantellata dall’antiterrorismo

Il nodo della riconducibilità al terrorismo

Un punto centrale dell’accusa riguarda la dimostrazione del legame tra chi ha ricevuto i fondi e attività di natura terroristica. «Il punto critico è la riconducibilità di chi ha ricevuto questi finanziamenti a organismi che abbiano effettuato attività legate al terrorismo. Trattandosi di un reato associativo, perché un terrorista sia definito tale serve dimostrare che svolga attività di carattere terroristico concrete», spiega Diddi.

«Qui abbiamo una serie di destinatari di somme di denaro con delle causali che sulla carta fanno ritenere si tratti di beneficenza. Ma occorre avere la prova che siano state utilizzate per un’attività terroristica. E il terrorismo ha delle caratteristiche ben precise: quelle di aggredire la popolazione per creare terrore».

Critiche al “sillogismo” dell’accusa

Diddi sottolinea le criticità logiche presenti nell’impianto accusatorio: «I soldi finivano ad associazioni collegate ad Hamas? Sarebbe difficile sostenere il contrario, visto che hanno operato in un territorio che politicamente era occupato da Hamas. Ma quindi se c’è il controllo di Hamas, e siccome Hamas è un’associazione terroristica, vuol dire che anche queste entità controllate sarebbero terroristiche? È un sillogismo che non sta in piedi».

«A quel punto nessun altro tipo di organizzazione umanitaria potrebbe operare nella Striscia di Gaza», conclude l’esperto, evidenziando come il ragionamento alla base delle accuse rischi di criminalizzare automaticamente tutte le attività umanitarie nella regione.