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18/04/2025 ore 18.55
Cronaca

«Ho disobbedito al boss Catarisano, volevo chiudere con la ’ndrangheta ma ora ho paura»: la scelta del neo pentito Guarnieri

L’ex picciotto del clan di Roccelletta di Borgia si confessa con i magistrati della Dda di Catanzaro: «Volevo smettere e lavorare onestamente, temo che mi uccidano». Il capo aveva commissionato un omicidio per vendicare l’offesa a un parente: «Dentro di me non volevo farlo»

di Alessia Truzzolillo

Leonardo Catarisano, detto Nando, boss dell’omonima cosca di Roccelletta di Borgia, aveva dei conti in sospeso che voleva chiudere. E per farlo avrebbe richiesto l’intervento di uno dei suoi picciotti, Andrea Guarnieri, oggi 31 anni. È lo stesso Guarnieri a raccontare ogni cosa alla Dda di Catanzaro. Si è presentato spontaneamente dalla polizia il 6 marzo scorso affermando di temere per la propria vita e di voler collaborare con la giustizia.

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L’omicidio commissionato in carcere

Guarnieri si è accollato la partecipazione a quattro omicidi e ha poi raccontato che Leonardo Catarisano nel 2022, nel carcere di Catanzaro, gli avrebbe commissionato un omicidio «da eseguire una volta fossi stato scarcerato, là per là dissi di sì ma dentro di me la risposta era negativa».
«Il movente – prosegue il collaboratore – credo di ricordare fosse da ricondurre ai maltrattamenti che aveva subito un parente di Nando Catarisano di cui quest'ultimo aveva avuto conoscenza nel periodo in cui era stato agli arresti domiciliari, nel periodo Covid per problemi di salute, e che poi tornò in carcere a Catanzaro».

I problemi di Catarisano con la Gife

Non solo. Catarisano avrebbe commissionato a Guarnieri, una volta uscito di prigione, di recarsi da un tale Tonino che all’epoca gestiva la società Gife e di intimargli di inviare i soldi a Catarisano poiché il boss riteneva che questo Tonino «non gli inviava i soldi perché se li stava “mangiando" lui, oppure non quanto Nando pretendeva». E se il soggetto in questione «non avesse dato i soldi avrei dovuto minacciarlo e intimargli di lasciare la Gife». Ma, dice Guarnieri, «una volta scarcerato nel marzo del 2023 non ho fatto nulla di quanto commissionatomi da Catarisano».

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«Volevo soltanto lavorare onestamente»

Una volta scarcerato, dice il collaboratore, sia capo cosca Salvatore Abbruzzo che un’altra persona il cui nome è stato tenuto riservato, «mi chiesero se volevo ancora far parte della cosca ma risposi che volevo soltanto lavorare». Anche ad altri sodali, come Pietro Abbruzzo, Andrea Guarnieri spiegò che «non ne volevo sapere più di questa vita perché volevo lavorare onestamente». A mettere in allarme il neo pentito è stato, però, un episodio avvenuto agli inizi di marzo: l’impressione che un uomo si aggirasse al buio intorno a casa sua e lo attendesse al rientro dal suo lavoro di magazziniere a Marcellinara.
Guarnieri si reca subito dalla polizia: «Ciò che mi è accaduto l'altra sera a casa mi ha spaventato perché credo vogliano uccidermi quelli di Roccelletta».

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Il battesimo (non voluto)

Guarnieri spiega di aver conosciuto i componenti della cosca nel 2013, aveva 19 anni, quando lavorava in nero in un campeggio e «a furia di frequentarli sono entrato nella cosca e sono stato battezzato in carcere». In realtà il ragazzo non voleva essere battezzato ma l’ordine era stato mandato da Salvatore Abbruzzo e gli altri sodali cominciavano ad essere diffidenti nei suoi confronti: «lo inizialmente rifiutai perché avevo timore e perché non capivo niente di queste cose. Poi però Roberto Valeo e Giuseppe Cosco, codetenuti nella stessa sezione con me, forse infastiditi dal mio rifiuto, cominciarono a dimostrarsi diffidenti nei miei confronti. Dopo la scarcerazione di Giuseppe Cosco chiesi a Roberto Valeo di ricevere il battesimo, che avvenne nella mia cella». Il primo battesimo, dice Guarnieri, avvenne intorno al 2018/19 nel carcere di Catanzaro. Accettato più per paura che con convinzione.

La paura

La paura è un sentimento che accompagna spesso il narrato di Guarnieri. Paura, soprattutto, di essere ucciso da una cosca che aveva dimostrato ferocia e pochi scrupoli nel commissionare i delitti.
Dopo essersi smarcato dal clan nel 2023 e aver appreso della collaborazione dell’ex sodale Sandro Ielapi, Guarnieri ha cominciato a temere per la sua vita perché Ielapi, con il quale dichiara di aver commesso tre dei quattro omicidi confessati, lo avrebbe potuto tirare in ballo e sapeva che gli altri del clan avrebbero voluto fermarlo prima che venisse arrestato e magari collaborasse confermando le dichiarazioni di Ielapi. Un’ombra nel buio lo ha convinto ad anticipare i tempi.