Il caso di Mattia Spanò a una svolta: autorizzato il trasferimento in una comunità terapeutica dell’Abruzzo
La vicenda del 33enne di Cetraro era divenuta nota grazie agli accorati appelli di mamma Tina e papà Franco. Affetto da gravi disturbi psichici e bisognoso di cure, il giovane era in cerca di un centro specializzato per la riabilitazione fuori i confini regionali poiché nelle Rems calabresi non c’è posto
Il caso che ha commosso il web, quello di Mattia Spanò, ex detenuto afflitto da gravi disturbi psichici, potrebbe essere giunto a una svolta. Il 33enne di Cetraro potrà finalmente essere trasferito in una struttura che sorge al di fuori dei confini calabresi, precisamente in Abruzzo. Si tratta di una struttura altamente specializzata nella riabilitazione psicosociale dei pazienti. Il problema è sorto quando il giudice del tribunale di Sorveglianza di Catanzaro aveva chiesto per lui l’ingresso in una strettura Rems, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, ma in Calabria, a causa delle lunghe liste d’attesa, non c’è posto e il giovane è stato costretto a fare il giro di case-famiglia e ospedali del territorio, senza però ricevere cure adeguate alle sue condizioni. Oggi, il risultato arriva grazie all’incessante lavoro dei suoi legali Marco Bianco, del foro di Paola, e Angela Cannizzaro, del foro di Reggio Calabria.
Mattia Spanò lascia il carcere ma le sue condizioni preoccupano: durante una crisi aggredisce il personale della casa famiglia che lo ospitaUna vita di sofferenze
Mattia Spanò deve fare i conti sin da giovanissimo con una serie di disturbi mentali, che peggiorano in età adulta quando qualcuno, noncurante delle sue fragilità, comincia a vendergli della droga. Nel settembre del 2021 Mattia, in preda a una crisi psicotica, accoltella la madre e la ferisce gravemente. Per la donna, Tina Avolio, si renderà necessario il ricovero in terapia intensiva. Mattia va a processo, i giudici riconoscono la semi infermità mentale e lo condannano a quattro anni di carcere. Ma la decisione, secondo la famiglia, è del tutto errata, perché la detenzione peggiora enormemente la sua salute mentale e i tentativi di suicidi si susseguono uno dopo l’altro. Quattro sono quelli certificati. La pena si estingue lo scorso 15 agosto, ma il Tribunale di Sorveglianza stabilisce che Mattia non può tornare a casa e dovrà passare i prossimi tre anni in una Rems, strutture adatte ad accogliere gli ex detenuti ritenuti ancora socialmente pericolosi e bisognosi di cure. In Calabria ne esistono due, a Santa Sofia d’Epiro e a Girifalco, ma in nessuna di queste c’è un posto per lui. E così, il giovane è costretto a restare in cella, continuando a manifestare tendenze suicide e crisi psicotiche sempre più frequenti.
Gli appelli e il ricovero in ospedale
Mamma Tina e papà Franco, disperati, lanciano numerosi appelli per cercare una struttura alternativa che possa accogliere il figlio e tirarlo fuori dal carcere e a rispondere è una casa-famiglia di San Sosti. Il 10 ottobre scorso il tribunale di Paola autorizza il trasferimento. Ma la gioia dura poco. Mattia, senza una terapia mirata e con una salute mentale ormai minata, aggredisce brutalmente il personale sanitario della struttura che lo ospita e si rende necessario un Tso. Un’ambulanza lo trasferisce al reparto di Psichiatria dell’ospedale di Cetraro, ma nemmeno qui le cose vanno meglio. Mattia ha bisogno di un centro specializzato e la soluzione, secondo i medici, essere la comunità terapeutica abruzzese “Il Castello”. Per il trasferimento serve una firma, ma comincia il balletto delle responsabilità e mentre lo scaricabarile si protrae per giorni, Mattia cammina sul filo del rasoio. La situazione diventa drammatica.
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I legali si attivano, chiedono di essere ascoltati e bussano a tutte le porte. In particolare, l’avvocato Angela Cannizzaro scrive un’accorata lettera a un alto dirigente dell’Asp di Cosenza, elencando i motivi che renderebbero la situazione allarmante. Due giorni fa, finalmente, la svolta: Mattia può andare, comunicano al legale, ma non prima di aver concluso i suoi dieci giorni di ricovero in Psichiatria. I famigliari tirano un sospiro di sollievo e sperano che, stavolta, il loro ragazzo, con una lunga storia di sofferenza alle spalle, possa finalmente vedere la luce in fondo al tunnel.