Il femminicidio diventa reato, Gioiello: «Passo fondamentale, ma servono anche percorsi culturali»
Il presidente dell’associazione Mondiversi e del centro antiviolenza “Fabiana Luzzi”: «Mancava una proposta di legge di riferimento, ma si educhi all’affettività nelle scuole e all’importanza della denuncia»
di Lu. La.
Un anno fa Antonio Gioiello nel suo libro “Il femminicidio in Italia: Cinque anni all’Inferno” sosteneva la necessità di una legge sul fenomeno. Da qualche settimana il governo ne sta parlando ed il disegno di legge che prevede l’ergastolo per chi «cagioni» la morte di una donna potrebbe presto entrare a far parte della giurisprudenza italiana.
Il presidente dell’associazione Mondiversi, che nel 2013 ha istituito il centro antiviolenza dedicato alla giovane coriglianese Fabiana Luzzi, vittima di femminicidio, è stato ospite di Pier Paolo Cambareri nel corso dell’approfondimento “Dentro la notizia”, andato in onda oggi su LaC Tv (qui per rivedere la puntata).
«Nel mio libro – esordisce il presidente dell’associazione che opera a Corigliano Rossano – ho sottolineato che molti casi di femminicidio, in Italia, non sono stati adeguatamente indagati. Sono rimasto sorpreso nell’apprendere del provvedimento del consiglio dei ministri che introduce il reato di femminicidio. Ho letto il testo e lo trovo completo nell’individuazione del reato. Ciò mi fa ben sperare affinché il disegno di legge sia trasformato in legge».
Il decreto è chiaro. «Sarà condannato chiunque cagioni la morte di una donna, che non è detto debba avvenire sempre in modo diretto. Con lo stesso reato si contempla chi maltratta o chi spinge la donna in condizioni di disperazione. E di casi del genere, nel mio libro ne ho trattati tanti».
Corigliano Rossano, terra in cui operano associazione e centro antiviolenza ricorda tristemente due casi che hanno scosso le coscienze di tutti: Fabiana Luzzi e Maria Rosaria Sessa, tutte e due uccise barbaramente dai fidanzati che volevano lasciare.
«Mancava una proposta di legge di riferimento, di questo tipo. Se sarà approvata – sottolinea ancora Antonio Gioiello – forze dell’ordine e magistratura dovranno indagare per prima se il reato è stato commesso nell’ambito dell’istigazione, dell’odio, dell’offesa o mentre si reprimono i diritti, la libertà, la personalità, perché la discriminazione di genere è la causa principale delle violenze».
L’omicidio e il femminicidio, una questione culturale
«Il legislatore fino ad oggi considerava l’omicidio, ovvero l’uccisione di un uomo. Ciò significa che anche dal punto di vista culturale, fino a qualche decennio fa l’uccisione di una donna era considerato in maniera meno rilevante. E ciò fino al 2013, alla Convenzione di Istanbul. Da allora abbiamo iniziato ad intravedere un cambiamento – ammette Gioiello – e più attenzione verso i casi di femminicidio. Fino a quel momento nel Codice penale l’espressione maschilista lasciava poco spazio».
Il presidente dell’associazione Mondiversi è convinto che la prevenzione e l’impegno sociale siano la base per contrastare fenomeni degenerativi nelle generazioni a venire.
«Il femminicidio, è un fenomeno strutturale, millenario. Oggi ne parliamo come se fosse una novità – sostiene Antonio Gioiello – ma è sempre accaduto. È un aspetto della nostra cultura che per essere scardinato necessita di tempo, di una legislazione, dell’evoluzione nelle menti delle nuove generazioni che devono essere educate sul rapporto tra generi diversi. C’è bisogno di un lungo cammino culturale».
Negli ultimi dieci anni si è imboccata una via nuova. «Se guardiamo ai dati sui femminicidi nell’ultimo decennio si è registrata una diminuzione importante del fenomeno, dovuto certamente a quanto si sta facendo, alla sensibilizzazione del problema a scuola, sui giornali, in tv. Si tratta di effetti positivi prodotti, insieme alla diffusione sul territorio dei centri antiviolenza e delle case rifugio. Certo, questi percorsi andrebbero sostenuti finanziariamente. In Regione abbiamo avviati da poco un percorso legislativo, stiamo contribuendo ad introdurre elementi normativi importanti proprio perché centri antiviolenza e case rifugio vanno sostenute economicamente».
L’importanza della denuncia
Le donne maltrattate, si trovano «davanti al dilemma: denunciare le violenze non è semplice perché di solito chi le compie è un partner, un fidanzato, un marito, un compagno con cui si condividono sentimenti, affetti, figli. E poi occorre – dice il presidente del centro antiviolenza Fabiana Luzzi – una grande formazione nelle istituzioni che vanno incontro alle donne vittime di violenza, forze dell’ordine, sanitari, servizi sociali comunali. Anche perché la vittimizzazione secondaria, è quel fenomeno per cui si ricevono risposte inadeguate».
Antonio Gioiello, insomma, ne fa una questione culturale da dover abbattere se si pensa che «solo nel 1981 è stato eliminato il delitto d’onore. Fino a quel momento, un padre, un fratello, un marito che scoprivano una moglie, una sorella in atti affettivi con un altro uomo, erano sostanzialmente giustificati a compiere delitti contro le donne».
L’importanza dell’educazione affettiva
«La percentuale più alta di femminicidi si verifica quando c’è una separazione – sottolinea ancora il presidente di Mondiversi – ovvero si priva della libertà di scegliere, quindi di lasciare chi compie violenze. Anche in questo caso è venuto in soccorso il cosiddetto codice rosso che ha riconosciuto il matrimonio forzato, il revenge porn come reati, introducendo misure nuove come l’allontanamento del maltrattante. Un problema in più si verifica, invece, nella gestione dei figli in condizioni di pericolo. Un “arretramento” che andrebbe migliorato anche nella concezione delle operatrici, degli operatori sociali, della magistratura. In condizioni di pericolo – conclude Antonio Gioiello – certi elementi vanno valutati. E sull’educazione affettiva, è fuor di dubbio che sia un valido metodo. Educare all’affettività, ai sentimenti, alla sessualità e pensare che ci sia un percorso educativo nel sistema scolastico può giocare un ruolo fondamentale, anche se il problema sta nel fatto che non c’è un modello e tutto viene lasciato alla spontaneità».