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18/02/2025 ore 14.51
Cronaca

«Il mio primo incontro con Bellocco, gli affari e la sua scelta di uccidermi: ecco chi me lo disse», il verbale inedito di Beretta

Il capo ultrà pentito ripercorre gli inizi della sua collaborazione con il rampollo del clan di Rosarno in un interrogatorio del 21 gennaio scorso. I contatti calabresi e gli affari al porto: «Ferdico perse 100mila euro»

di Pablo Petrasso

«Me l’ha presentato tramite “il cacciatore” e Monardo e vediamo di farlo entrare con noi nel direttivo». È recentissimo – dello scorso 21 gennaio – l’interrogatorio in cui Andrea Beretta, ex capo ultrà della Curva Nord dell’Inter – l’interrogatorio in cui il collaboratore di giustizia ricostruisce il suo primo incontro con Antonio Bellocco, che diventerà prima suo socio negli affari criminali che ruotano attorno a San Siro e poi acerrimo nemico, fino al finale tragico di Cernusco sul Naviglio e alla morte del rampollo del clan di Rosarno proprio per mano di Beretta.

In curva cambia tutto dopo una partita tra Atalanta e Inter: lo scontro con gli Hammerskin, che vogliono prendersi la curva, sta per esplodere e Bellocco sembra la soluzione migliore per riportare la gestione in mano a Beretta, al quale si aggiunge Marco Ferdico che, grazie alle sue amicizie calabresi, riesce ad agganciare Totò il Nano. Per Beretta, Monardo e “il cacciatore” – le due persone (Monardo resta senza nome in questa parte del racconto) che avrebbero creato il contatto con la Calabria – avevano un rapporto pregresso con Ferdico: «Non so se li aveva conosciuti quando lui era andato in Calabria a giocare a pallone (Ferdico ha giocato in passato nel Soriano, in provincia di Vibo Valentia, ndr), li aveva conosciuti lì, o li ha conosciuti dopo».

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Per Beretta, questi rapporti tra calabresi sono una giungla in cui «si conoscono tutti», sono tutti parenti o cugini. E i nomi non sono il suo forte. Ciò che ricorda è che «dopo la partita» il gruppo decide di vederci in pizzeria a Carugate: «Eravamo io Marco Ferdico, Franco Ferdico, Maurino Nepi, “il cacciatore”, Monardo e Antonio Bellocco, e ci siamo conosciuti lì in quella pizzeria».

A quell’appuntamento Bellocco sarebbe arrivato «con quei due lì, con “il cacciatore” e con Monardo», uomo del quale Beretta continua a fare soltanto il cognome. Lo scopo della pizza in compagnia è quella di sistemare l’affare con gli Hammerskin. Il rampollo del clan di Rosarno avrebbe detto a Beretta: «Tu devi dire che io e te ci conosciamo da tanto tempo, che avevamo a che fare col materiale», che in gergo sarebbe la droga. Bellocco sarebbe stata «la soluzione» al problema, Monardo e “il cacciatore” gli intermediari che lo avrebbero presentato a Ferdico.

Con Bellocco si pianifica un incontro con Mimmo Bosa, capo della fazione ultrà avversaria e ci si scambiano storie da stadio. Anche il calabrese avrebbe detto a Beretta che gli piaceva «fare gli scontri anche quando giocava la squadra del paese».

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L’idea di inventare una lunga conoscenza con Beretta serve a disinnescare le mire di Bosa che si vanta delle proprie amicizie calabresi nate e coltivate in carcere: De Stefano, Mancuso, Morabito.

Bellocco – racconta sempre Beretta – sulle prime se la prende un po’ con Ferdico che, prima di chiamare lui, ha portato a discutere con gli Hammerskin personaggi di caratura inferiore («perché hai portato lui? Dovevi portare me»). L’ultrà pentito prova a ricostruire il percorso che avrebbe portato Bellocco al Nord. Sarebbe nato tutto su suggerimento di Monardo e del “cacciatore”: «Adesso – è la sintesi di Bellocco – te la troviamo noi la persona che è incisiva su questo fronte».

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Beretta viene a conoscenza anche di altre storie che riguardano i suoi compari calabresi: Bellocco, a suo dire, avrebbe promesso anche a chi si era mosso per farlo entrare nella Curva Nord un tornaconto sugli affari. E il suo vero scopo – lo scoprirà più avanti anche Beretta – sarebbe stato quello di prendersi tutto. Al capo ultrà oggi pentito lo avrebbe rivelato un uomo che lui chiama “Bellebuono”. È lo stesso che gli racconterà di un altro affare in ballo tra i calabresi e Ferdico: «Mi dice che praticamente Marco aveva perso 100mila euro per un lavoro da fare al porto, che doveva arrivare materiale, e in questo lavoro c’erano dentro anche Monardo e “il cacciatore”».

Sono tanti i business che si innestano sulle storie del tifo criminale.