Il procuratore Lombardo: «Giustizia anche sul delitto Scopelliti per indebolire i sistemi criminali mafiosi»
«La ’ndrangheta è un modello a cui si ispirano altri sistemi criminali»: il magistrato alla guida degli uffici giudiziari di Reggio Calabria analizza il fenomeno. E intanto le indagini sull’omicidio ripartono tra nuove piste e un passato che brucia ancora
Da 30 anni le inchieste giudiziarie illuminano zone grigie che ci ricordano come le infiltrazioni della ’ndrangheta, così come la mafia, possono arrivare ovunque. Prima della strage di Capaci, a dare il via alla strategia del terrore ideata dalle mafie per attaccare lo Stato fu l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti: una ferita che ancora sanguina ma per la quale non ci si è arresi. Non lo ha fatto il procuratore Giuseppe Lombardo che ha riaperto un fascicolo che fa a pugni con il tempo che inesorabile passa ma la voglia di giustizia non si è esaurita.
«Delitto Scopelliti inserito in una stagione particolare della nostra storia»
«Quella è una stagione molto particolare della nostra storia. Non ci sono ancora risposte giudiziarie da dare o da completare. E per questo l’impegno non deve mai venire meno. Dobbiamo tutti essere consapevoli che si inizierà probabilmente la fase di effettivo indebolimento dei sistemi criminali di tipo mafioso quando saremo in grado di dare risposte complete alle persone che le attendono».
Lombardo guarda a un passato ancora troppo presente e a quella capacità della ‘ndrangheta di rinnovarsi. Dopo l’operazione “Millennium” e le novità sul caso Scopelliti è chiaro che la battaglia non è finita. «Noi combattiamo quotidianamente contro un fenomeno che è ormai senza confini territoriali e che si è molto evoluto. Parlare soltanto di ’ndrangheta oggi è fuorviante, perché è una componente importantissima, probabilmente la più importante, di un sistema molto più vasto che ormai non ha confini territoriali. È quindi assolutamente sbagliato pensare che la ’ndrangheta sia solo qui, in questo territorio, in Calabria o in Italia, perché ovviamente ha esteso il suo bacino di espansione fino ad abbracciare interi continenti».
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L’analisi di Lombardo va avanti: «Crea una dimensione globale, assolutamente riconosciuta da tutti. Nel senso che è diventato un modello criminale a cui si ispirano anche organizzazioni di tipo mafioso operanti a migliaia di chilometri da questi territori di origine, proprio perché è un modello assolutamente efficace, in grado di gestire situazioni complesse. Oggi il crimine organizzato, rispetto a trent’anni fa non è rimasto fermo. Purtroppo si è evoluto. E anche noi dobbiamo cambiare il modo di approcciarlo e l’azione di contrasto, che deve essere sempre più avanti, anche sfruttando le risorse tecnologiche che trent’anni fa non c’erano».
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Risorse che oggi potrebbero servire a riscrivere il finale di un caso irrisolto, quello dell’omicidio Scopelliti, che vede nuovi elementi non sottovalutabili. Il giudice Scopelliti non si era piegato, questo lo sappiamo bene. Quel maxi processo pericoloso per i palermitani e il tentativo di “Cosa Nostra” di avvicinare quel magistrato in Cassazione. La necessità di un patto con il “Gotha” della ‘ndrangheta reggina per compiere l’esecuzione e porre fine alle guerre di mafia. Quel che emerge oggi, dalle dichiarazioni dei collaboratori, dopo la ricostruzione della scena del crimine, le perquisizioni e i nuovi indagati, è che oltre quella moto con il pentito Maurizio Avola alla guida e il presunto killer Salvatore Vincenzo Santapaola, ci fosse un vero e proprio commando a seguire l’agguato al giudice Scopelliti. In un corteo di macchine, dopo gli spari che uccisero il magistrato, avrebbero sfilato i boss di “Cosa Nostra” Matteo Messina Denaro e Eugenio Galea, Aldo Ercolano e Marcello D’Agata i quali avrebbero agevolato l’operazione e si sarebbero assicurati della riuscita del piano.
Avola: «Il fucile avrebbe dovuto restare nell’auto di Scopelliti»
Una scena che ancora oggi mette i brividi e che apre uno spaccato di ombre. Come quel fucile che, secondo le indicazioni date ai killer, doveva essere lasciato nell’auto del giudice. Sempre dalle dichiarazioni del collaboratore, infatti, emerge che «il fucile utilizzato per perfezionare l'omicidio potesse/dovesse essere riconoscibile (se non altro ad opera dei maggiorenti di "Cosa Nostra") come traccia del coinvolgimento di "Nitto" Santapaola. Il "piano" prevedeva, infatti - secondo quanto riferito dall'Avola - che l'arma del delitto venisse lasciata all'interno dell'auto dello Scopelliti quale effetto simbolico"». Ordine rimasto disatteso da Avola (nella fretta di lasciare la scena del delitto) che, invece, occultò l’arma per poi farla ritrovare nel 2018. Ricostruzioni che oggi rendono tutto drammaticamente vivido. Come se il tempo non fosse passato, come se gli anni non avessero portato con sé dolori e ingiustizie.