Il Tar respinge il ricorso: confermato lo scioglimento del Consiglio comunale di Stefanaconi. Le motivazioni della sentenza
Per i giudici «l’amministrazione comunale, già sul nascere, era interessata da un procedimento penale pesante nei confronti del sindaco che ha poi finito per pregiudicarne l’operato». Gli ex amministratori: «Ingiustizia è fatta»
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione prima, ha respinto il ricorso presentato dall’ex sindaco di Stefanaconi, Salvatore Solano, e da sei ex amministratori, contro il decreto di scioglimento del Consiglio comunale firmato dal Presidente della Repubblica il 29 luglio 2024 a seguito della deliberazione assunta dal Consiglio dei ministri, e contro tutti gli atti, connessi propedeutici e consequenziali allo stesso.
I giudici del Tar non hanno dunque ritenuto sufficienti ad annullare il provvedimento le motivazioni addotte dai ricorrenti, per il tramite dell’avvocato Oreste Morcavallo, rigettando il ricorso e condannandoli alla rifusione delle spese di lite per un importo di 3mila euro in favore dell’ente comunale.
La sentenza arriva a circa 70 giorni dalla trattazione del ricorso in udienza pubblica avvenuta a Roma lo scorso 16 aprile, a fronte di un termine previsto di 45 giorni. Per i ricorrenti - si legge nella sentenza – lo scioglimento «sarebbe stato disposto illegittimamente, ossia in ragione unicamente della collocazione geografica del comune in un territorio ad alta densità mafiosa, senza indicare come le consorterie criminali avrebbe influito sull’amministrazione locale. Peraltro, le contestazioni mosse al sindaco sarebbero relative a fatti occorsi durante il suo mandato di presidente della Provincia di Vibo Valentia: in aggiunta, le accuse (voto di scambio e turbativa d’asta) si sarebbero dimostrate infondate come emergerebbe dalle sentenze del giudice penale. Similmente, il rapporto di frequentazione del sindaco con certi imprenditori reputati contigui ad alcune cosche malavitose sarebbe, oltre che indimostrato, avvenuto durante l’espletamento del mandato provinciale, circostanza che priverebbe di giustificazione la dissoluzione dell’ente comunale».
I motivi del ricorso
Altri motivi di doglianza esposti nel ricorso riguardano la «indimostrata presenza di cosche ‘ndrangheta, atteso che negli ultimi anni la Direzione distrettuale antimafia non avrebbe eseguito misure (a differenza degli altri comuni della provincia); la pronuncia del giudice penale che dimostrerebbe l’assenza di condizionamenti illeciti sul sindaco da parte dei soggetti controindicati»; l’insussistenza di «vari precedenti penali a carico del sindaco, atteso che di tutte le comunicazioni all’autorità giudiziaria solo una si sarebbe tradotta in un decreto penale (le restanti segnalazioni sarebbero state tutte archiviate). Non sarebbe neppure spropositato il numero di affidamenti diretti, considerati gli importi dei contratti: peraltro, l’amministrazione disciolta avrebbe sempre rispettato rigorosamente il principio di rotazione ed effettuato le verifiche antimafia. Anche i lavori affidati a soggetti in qualche modo controindicati sarebbero sempre stati disposti allorquando non era ancora stata respinta l’iscrizione nella white list; inoltre, nelle ipotesi di sopraggiunta comunicazione da parte della Prefettura,i responsabili comunali avrebbero sempre risolto i rapporti contrattuali in essere. I ricorrenti avrebbero efficientato la gestione degli uffici comunali, portando notevoli incrementi nella riscossione dei tributi locali ed aumentando la percentuale di raccolta differenziata; inoltre, gli organi statali avrebbero totalmente ignorato l’impegno profuso dalla disciolta giunta per la legalità, evidenziata in più atti ed iniziative pubbliche».
La relazione della commissione d’accesso
Altro punto nodale portato in discussione attraverso il ricorso è la relazione vergata dalla commissione d’accesso agli atti che non aveva rilevato la sussistenza delle condizioni per procedere allo scioglimento degli organi elettivi. Nel motivare il respingimento del ricorso, i giudici amministrativi, prima di entrare nel merito degli altri rilievi, partono proprio da qui.
«La posizione espressa dal componente prefettizio della commissione d’accesso - si legge nella sentenza - non costituisce circostanza che rende contraddittorio l’operato degli organi statali.Difatti, la commissione d’accesso svolge solamente un compito istruttorio, non essendo ad essa richiesto di manifestare il proprio parere ovvero di proporre l’adozione di una certa misura: tale circostanza è, di per sé, sufficiente per superare le doglianze di parte ricorrente. In ogni caso, va rilevato come i componenti della commissione provenienti dall’Arma dei carabinieri e dalla polizia di Stato hanno esposto il loro punto di vista circa i fatti accertati dalla commissione: in tal modo il Prefetto (e poi il Ministro e il Consiglio dei ministri) hanno avuto a disposizione sin dal principio una duplice lettura dei medesimi avvenimenti, circostanza che – a ben vedere – garantisce un’ancor maggiore legittimità della decisione, essendo essa intervenuta a seguito di un approfondito esame della vicenda (quasi “in contraddittorio”, formula questa che è universalmente considerata la più efficace per accertare fatti). Perdipiù, proprio la presenza di una voce “dissonante” ha imposto un dibattito franco e senza preconcetti, il cui sviluppo può leggersi nel verbale della riunione dell’8 aprile 2024 del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica: esso si è concluso con una votazione all’unanimità in favore dello scioglimento, anche alla luce delle osservazioni dei rappresentanti della magistratura inquirente che hanno sottolineato le criticità dell’amministrazione comunale di Stefanaconi “già sul nascere, interessata da un procedimento penale pesante nei confronti del sindaco che ne ha poi finito perpregiudicare l’operato”».
Il contesto ambientale
Nel merito, anche le altre doglianze vengono respinte e si spiega che «il pregresso scioglimento, la presenza di cosche di ‘ndrangheta, le minacce rivolte agli amministratori comunali nel periodo 1994-2002, non sono le ragioni della decisione di commissariamento, bensì unicamente una piana esposizione di alcuni fatti pacificamente accaduti nel territorio comunale. Neppure può essere condivisa l’osservazione secondo cui non vi sarebbero cosche malavitose, argomentata sulla base dell’assenza di recenti interventi della Dda. Invero, l’esistenza di organizzazioni criminali prescinde dall’accertamento della magistratura penale- spiega il Tar -, essendo quest’ultimo una conseguenza, non un presupposto della prima. Poco convincente, poi - scrive il Tar -, è la tesi difensiva secondo cui i rapporti intrattenuti dal sindaco con i cugini (gli imprenditori D’Amico, ndr),oggetto d’indagine penale afferirebbero, al periodo nel quale il primo era presidente della Provincia di Vibo Valentia e quindi non potrebbero rilevare ai fini dello scioglimento del Comune». Per i giudici «è facilmente desumibile che tale collegamento permanga (considerati i vincoli familiari) anche allorquando il primo agisca quale sindaco di un comune di quella provincia (tenuto conto che le due cariche erano rivestite in contemporanea)».
I like su Facebook
All’ex sindaco vengono poi contestate interazioni social inopportune: «va evidenziato in primo luogo come egli abbia ampiamente pubblicato su Facebook gli esiti dei procedimenti penali a proprio carico ricevendo ampio sostegno e messaggi d’incoraggiamento da molte persone direttamente affiliate alle locali cosche di ‘ndrangheta, ovvero stretti congiunti di queste ultime: si tratta - scrive il Tar - di un segno ulteriore dell’esistenza di collegamenti (quantomeno indiretti) tra l’amministratore locale e gli esponenti della criminalità organizzata».
Gli affidamenti diretti
Passando agli affidamenti diretti, «la relazione pone molta enfasi sul numero degli stessi (82 su 107 in un anno e tremesi, in un comune con circa 2.000 abitanti), precisando come quasi il 25% (19 per l’esattezza) siano stati disposti in favore di “ditte con criticità di vario tipo”. Sul punto, parte ricorrente si limita ad osservare come il disciolto comune avrebbe rispettato un “ferreo” ed “integerrimo” principio di rotazione: tuttavia, l’allegazione appare totalmente apodittica e comunque non è in grado di superare i puntuali rilievi mossi dagli organi statali. Nel dettaglio, va rilevato come la proposta ministeriale abbia censurato in generale le modalità con le quali ha operatola disciolta amministrazione comunale: difatti, se corrisponde al vero che i responsabili comunali hanno sempre proceduto alle verifiche antimafia, è stato rilevato come in molti casi i lavori sono stati affidati a ditte non ancora iscrittein white list, bensì la cui pratica era in istruttoria ovvero in aggiornamento. Orbene, se non può dirsi radicalmente illegittima una simile azione amministrativa, un tale incedere è comunque indicativo di una qualche irregolarità».
I casi sotto la lente
In ogni caso, «quanto all’affidamento di lavori urgenti per il ripristino di condotte fognarie e per la manutenzione straordinaria di un edificio, i ricorrenti si limitano ad osservare come fosse in corso, al momento della verifica antimafia,l’aggiornamento dell’iscrizione e che una volta comunicata l’adozione dell’informativa antimafia, il contratto venisse risolto, aggiungendo come - allo stato - l’impresa risulti iscritta in white list: orbene, quest’ultimo dato è totalmente irrilevante, atteso che l’iscrizione è intervenuta dopo il passaggio dell’azienda sotto il controllo giudiziale. La decisione, pur formalmente legittima,di disporre l’affidamento in favore di impresa con iscrizione “in aggiornamento”, se osservata globalmente (e non atomisticamente come suggerito dalla parte ricorrente) evidenza il condizionamento mafioso sull’operato dell’amministrazione locale».
Identiche considerazioni «valgono anche per l’affidamento diretto del servizio di smaltimento dei rifiuti ingombranti: qui l’iter per l’iscrizione in white list si concludeva (dopo la stipula del contratto) con un provvedimento di diniego.Analogamente, l’affidamento (diretto) della sostituzione degli infissi di un edificio scolastico - aggiudicata all’unica ditta invitata alla gara - è stato disposto ad impresa che è stata iscritta in white list solo in seguito alla pronuncia giudiziale che ha applicato il controllo giudiziale sull’azienda. Non appare superfluo rammentare che tale misura di prevenzione patrimoniale è adottata allorquando “sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività”».
«Atti in equilibro tra legittimità e interessi»
«A fronte di tali chiarissimi e pacifici elementi, la parte ricorrente si limita a sottolineare la formale legittimità degli atti amministrativi (tesi sostanzialmente rappresentata anche dal componente prefettizio della commissione d’accesso): nondimeno, questo giudizio non verte sulla legittimità delle regole delle procedure di affidamento, bensì sulla verifica della permeabilità della struttura amministrativa di un comune alle influenze delle organizzazioni malavitose. Date tali premesse, è quasi palese come il Comune di Stefanaconi abbia tentato di muoversi in equilibrio tra due opposte esigenze: da un lato, rispettare le regole sulle procedure ad evidenza pubblica; dall’altro, cercare di favorire gli interessi di soggetti controindicati».
«Compromesso il buon andamento dell’Ente»
Nel ribadire «il carattere preventivo dell’intervento degli organi statali, va osservato come la decisione di scioglimento prescinda da una colpevolezza da parte delle strutture amministrative locali: in tal senso, una volta acclarata la compromissione del buon andamento dell’ente comunale (circostanza pacifica nel momento in cui si risolvono rapporti contrattuali per via della presenza di motivi ostativi derivanti dall’attività antimafia), è necessario procedere al suo commissariamento ove esso si dimostri incapace di affrontare direttamente le forze criminali che ne minacciano l’operato. Circostanza, quest’ultima, da escludere nel caso in esame anche per via della posizione fortemente compromessa dell’ex sindaco».
La gestione dei tributi
Anche il capitolo “gestione dei tributi” viene messo in discussione. «Sebbene abbia visto un incremento di riscossione rispetto ai periodi precedenti, è stata valutata poco efficiente, considerato che gli avvisi per la riscossione coattiva dell’imposta municipale unica e della tassa sui rifiuti relativi all’anno 2015 sono stati avviati solo a seguito dell’accesso della commissione nominata dal Prefetto».
L’impegno a favore della legalità
Infine, «quanto all’impegno per la legalità della giunta disciolta, va evidenziato come non siano sufficienti episodiche azioni per dimostrare di non avere alcun collegamento con (o non subire alcuna influenza da) la criminalità organizzata. In tale ottica, le meritorie iniziative non “compensano” le gravi mancanze dell’amministrazione locale: invero, secondo giurisprudenza costante non è sufficiente l’adozione di qualche “operazione di facciata per lenire il rischio di dissoluzione”».
«Ingiustizia è fatta»
Duro il commento che l’ex maggioranza consiliare ha affidato alla pagina Facebook SiAmo Stefanaconi,che fa capo proprio alla compagine amministrativa oggetto dello scioglimento.
«Ingiustizia è fatta - scrivono gli ex amministratori -. Il Tar Lazio ha confermato lo scioglimento del Comune di Stefanaconi. Una decisione assurda, che calpesta la verità e la logica istituzionale. Secondo il Tar, non ha importanza che la Commissione d’indagine abbia accertato l’insussistenza dei presupposti per lo scioglimento, perché “non è richiesto ad essa di proporre una certa misura”. Quindi, per il Tar, si può sciogliere un Comune anche senza accertamenti e senza una commissione d’accesso. Lo avevamo detto: poca fiducia nei giudici amministrativi, troppo spesso più vicini al potere che alla giustizia. Una sfiducia confermata da una sentenza che è arrivata con oltre 25 giorni di ritardo rispetto ai 45 previsti dalla legge, e che nonostante tutto questo tempo, dimostra di non aver nemmeno letto le carte. È una ferita profonda per chi ha servito il proprio Comune con onore e legalità. Ma la verità non si scioglie con un decreto. La dignità di una comunità non si cancella con una sentenza. Continueremo a camminare a testa alta, nella verità e nella giustizia. I termini della sentenza e dei fatti reali li diremo pubblicamente, anche perché questa sentenza è stata una copertura delle falsità che il Tar non ha avuto il coraggio di evidenziare».
Parole che lasciano presupporre come l’azione legale potrebbe presto approdare al Consiglio di Stato attraverso un ulteriore ricorso.