In carcere e poi ai domiciliari da innocente: lo Stato risarcisce dopo dieci anni un informatico di Rossano
Accusato ingiustamente di truffa e ricettazione, l’uomo ottiene quasi 22mila euro per l’ingiusta detenzione. La Corte d’Appello di Catanzaro: «Privato della libertà senza colpe»
di Matteo Lauria
Un’accusa infondata, due mesi in carcere, altri due agli arresti domiciliari, e quasi dieci anni per vedere riconosciuta la verità. Con un provvedimento depositato il 1° aprile 2025, la Corte di Appello di Catanzaro ha condannato lo Stato italiano a risarcire l’ingiusta detenzione subita da un informatico di Rossano, riconoscendogli 21.931 euro a titolo di equa riparazione.
Tutto parte nel 2012, quando, mentre si trovava all’estero, venne raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP dell’allora Tribunale di Rossano. Le accuse: tentata truffa e ricettazione, per la presunta ricezione, in concorso, di quattro assegni bancari di origine illecita per circa 400mila euro. Nel novembre dello stesso anno, l’uomo rientrò in Italia per costituirsi spontaneamente. Venne rinchiuso nel carcere di Rossano dal 12 novembre 2012 al 14 gennaio 2013, poi sottoposto agli arresti domiciliari fino al 13 marzo.
Una misura cautelare severa che si è rivelata ingiustificata. Il processo, celebrato a Castrovillari, fu lungo e complesso. Durante il dibattimento, furono sentiti numerosi testimoni e prodotta una copiosa documentazione. In sede di discussione, l’avvocato Alfonso Loria sottolineò l’assoluta estraneità del suo assistito ai fatti contestati.
Il 12 maggio 2022 arrivò la sentenza: assoluzione piena per il reato di ricettazione perché il fatto non sussiste, e dichiarazione di non doversi procedere per la tentata truffa. Una decisione netta, in contrasto con la richiesta iniziale di condanna a 4 anni formulata dal Pubblico Ministero. Nel maggio 2023 il legale depositò ricorso per ottenere il riconoscimento dell’equa riparazione. All’udienza del 28 ottobre 2024, il Procuratore Generale si oppose, ma la Corte ha dato ragione alla difesa. Il risarcimento, ora riconosciuto, chiude una pagina dolorosa e restituisce dignità a chi ha subito anni di sospetti e restrizioni senza colpe.