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21/05/2025 ore 21.30
Cronaca

La candidatura saltata con Fdi e la leva della sanità in cambio di voti: le mire del gruppo Giglio-Tripodi sulle Regionali 2020

La Dda di Reggio Calabria ricostruisce il retroscena pre-elettorali. Il patto con Fratelli d’Italia si infrange dopo una condanna contabile per l’ex assessore regionale. Le accortezze per evitare le indagini e la frase sibillina di Vincenzo Giglio: «Se parlo io devono costruire altri due carceri»

di Pablo Petrasso

«Non si può aspettare, un altro giro fermi non esiste». Vincenzo Giglio è una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie, calabresi e no. È un medico chirurgo e insieme a suo fratello Mario, avvocato, ha subito in passato una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Di loro il pentito Roberto Moio diceva che «sono professionisti (…) e parecchie volte si sono portati alle elezioni».

I guai con la giustizia sono stati un freno ma ora non si può stare fermi. Per le Regionali del 2020 Giglio progetta di tornare in pista: la tornata elettorale è quella che eleggerà Jole Santelli. Il vento di centrodestra spira sulla Calabria: per chi ha naso non ci sono dubbi, bisogna buttarsi da quella parte. Eppure inizialmente il “gruppo” segue una strategia mista: stando alla sintesi dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, Giglio&Co avrebbero puntato su Alessandro Nicolò e Sebastiano Romeo. Uno di centrodestra, l’altro di centrosinistra. I Giglio devono però riorganizzarsi in corsa: i loro presunti candidati finiscono nell’inchiesta Libro Nero. Il terremoto muta la compagnia ma non l’obiettivo: entrare in Consiglio regionale.

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Il gruppo si sposta su Pasquale Tripodi

Sempre secondo la Dda l’interesse dei Giglio si sposta su un altro politico di lungo corso, Pasquale Tripodi, ex assessore regionale di centrodestra che non può candidarsi direttamente «alla luce di pregresse vicende giudiziarie». Sempre nelle file del centrodestra scenderà in campo sua moglie Lucia Caccamo (che non è indagata nell’inchiesta Millennium): la macchina del consenso si mette in moto. E gli indagati – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – si attivano «per rastrellare voti in favore di Caccamo presso alcuni importanti agglomerati criminali».

«Corsie preferenziali nella sanità per gli elettori»

Il presunto scambio? Sostegno elettorale «in cambio di favori nel campo amministrativo e nel settore sanitario pubblico» nel quale sia Giglio che Tripodi, dipendente dell’Asp di Reggio Calabria, hanno buoni agganci. Più nel dettaglio, per i pm antimafia «spesso la contropartita messa sul piatto dagli indagati era proprio rappresentata dal garantire agli elettori corsie preferenziali nel disbrigo di pratiche nel settore medico». Sono sette, per l’accusa, le famiglie di ’ndrangheta contattate. Una grande attività che non porta al risultato sperato: Caccamo risulta la seconda dei non eletti nella civica Jole Santelli Presidente ma ottiene 3.678 preferenze, tantissime per una candidata alla prima esperienza politica.

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La candidatura con Fratelli d’Italia salta

L’inchiesta Millenium svela, in effetti, che la moglie di Pasquale Tripodi avrebbe dovuto essere candidata in un’altra lista, Fratelli d’Italia. Lo conferma, in una intercettazione del 4 novembre 2019, proprio l’ex assessore regionale che risponde Sì a chi gli chiede «ma Lucia si candida con Fratelli d’Italia?». Circa un mese più tardi cambia tutto: Tripodi viene condannato dalla Corte dei Conti a risarcire quasi 120mila euro al Consiglio regionale per le conseguenze dell’inchiesta Rimborsopoli. La notizia fa il giro delle sette chiese politiche e arriva fino alla segreteria nazionale del partito di Giorgia Meloni. Caccamo contatta il coniuge e spiega che i vertici di Fdi (cita Edmondo Cirielli, che all’epoca si occupa di selezionare le candidature in Calabria) hanno chiuso le porte: «Non c’è la candidatura» perché un pezzo del partito teme i riflessi mediatici della condanna contabile.

Giglio: «Se parlo io a Reggio devono costruire altri due carceri»

Pazienza: per il pacchetto di voti Giglio-Tripodi si chiude una porta e se ne apre un’altra nel giro di pochi giorni. Caccamo finisce nella lista collegata alla compianta presidente Jole Santelli e il gruppo si mette al lavoro. Con modalità che, per la Dda di Reggio Calabria, svelano quanto gli indagati «fossero consci dei pericoli cui la campagna elettorale li esponeva e, perciò, sono sintomatiche di come la campagna stessa venisse svolta con modalità illecite perché ciò che si ricercava non era il mero sostegno elettorale alla candidata ma il sostegno elettorale della criminalità organizzata, in cambio di favori e privilegi».

Uno degli esempi pesca nelle intercettazioni del 2018, quando il gruppo «sosteneva Alessandro Nicolò». Vincenzo Giglio parla come un esperto e allerta i suoi interlocutori (uno è proprio Nicolò, l’altro è deceduto) sulla possibile presenza di microspie nei cellulari e sottolinea la necessità di tenere pubblicamente le distanze tra loro per non ingenerare sospetti. Giglio spiega di non avere paura delle indagini e si dice «in grado di preservare – rispetto alle incursioni degli inquirenti – il proprio patrimonio di conoscenze criminali».

Queste conoscenze sarebbero così imponenti che lo inducono a una battuta: «Se apro la bocca io, altro che Arghillà (si riferisce al carcere, ndr) dovevano fare, ne devono fare uno a Sbarre e uno a Gebbione per quello che so».

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«Allarmanti accordi con le famiglie di ’ndrangheta»

Il piglio pare spregiudicato, gli scopi non proprio improntati all’ideologia. O almeno è questa l’idea degli investigatori che, in una informativa, riepilogano alcuni dei favori che il gruppo avrebbe messo a disposizione in cambio del consenso elettorale. L’elenco comprende «assunzioni e benefici clientelari presso privati ed Enti pubblici, l'ottenimento di finanziamenti pubblici e al recupero del credito vantato da strutture sanitarie private presso la Regione Calabria, la velocizzazione nell'ottenimento di visite mediche in strutture ospedaliere, l'agevolazione per l'ottenimento o la maggiorazione di pensioni di invalidità». È la sanità la leva su cui contare per ottenere voti. Almeno in larga parte. Le indagini, poi, avrebbero «documentato allarmanti accordi con le famiglie di ’ndrangheta egemoni sul territorio» e «ingerenze presso dirigenti e funzionari pubblici - sia in ambito tributario, che in quello medico-sanitario - sfociate talvolta in gravi episodi corruttivi, allo scopo di accaparrarsi un maggior consenso elettorale». Un lavoro capillare per rastrellare voti: alla fine ne arriveranno più di 3.700. Non bastano per un posto al sole di Palazzo Campanella, sono sufficienti per finire in un’ordinanza di custodia cautelare.