Sezioni
Edizioni locali
26/12/2025 ore 13.01
Cronaca

«La furia dell’acqua impossibile da fermare»: il paradiso che diventa inferno, la strage del Raganello nello speciale di LaC

Un luogo di straordinaria bellezza, incastonato nel cuore del Pollino, diventa improvvisamente teatro di una tragedia che interroga il rapporto tra natura, uomo e responsabilità. Francesco Tricoli ricostruisce la vicenda nello speciale Il prezzo della bellezza – La tragedia del Raganello targato Diemmecom

di Gabriella Chiarella

«Dopo tante peripezie, finalmente siamo qui. Vi presento il Raganello!» Da questa frase, pronunciata da un visitatore per incoraggiare il proprio gruppo, si evince la difficoltà nel raggiungere il posto, ma anche la magnificenza del suo paesaggio. Si tratta del massiccio del Pollino, le cui gole profonde centinaia di metri sono attraversate dal torrente Raganello. In sintesi: “Un paradiso sul margine dell’abisso” come definito dalla scrittura brillante di Francesco Tricoli, curatore della trasmissione Primi Piani che ha acceso nuovamente (qui la puntata) i riflettori sulla tragedia che ha segnato Civita.

Il paradiso può tramutarsi nell’inferno? Accade così che al confine con la Basilicata, a San Lorenzo Bellizzi (a quasi 7 km da Civita), in una di quelle profonde gole si formi una strettoia che rende impossibile la fuga. «L’acqua, in genere distribuita su un territorio molto vasto, si è incanalata in un restringimento sviluppando una potenza notevole». Così Carlo Tansi, dirigente generale della Protezione Civile della Regione Calabria nel 2018, descrive la causa dell’accaduto.

L’ex procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, ricorda di aver ricevuto una telefonata allarmante il 20 agosto del 2018, e così anche il Presidente del Soccorso Alpino della Regione Calabria in carica quell’anno, Luca Franzese, che allerta immediatamente il capo della Protezione Civile. Le squadre di soccorso iniziano a mobilitarsi attorno alle 15.30, e poco dopo anche la penna attenta dell'informazione, Salvatore Bruno (giornalista di LaC News24) si attiva per documentare la tragedia ancora in atto. Vano è il tentativo da parte di Franzese, al telefono con uno dei malcapitati, di aiutarlo a mantenere la calma, stroncato da un “è tardi!” come ultime parole prima di non sentire più nulla.

Secondo quanto testimoniato da Carlo Tansi, decine e decine di persone hanno lottato per mettersi in salvo. Chi ce l’ha fatta ha avuto potenza fisica, forza emotiva e un’attrezzatura adatta a scalare le rocce ripide. Ma il Raganello deve il suo nome al verbo dialettale “ragàri” (trascinare) e – come nei più celebri casi di nomen omen - il presagio contenuto nella sua denominazione si rivela fatale: 10 escursionisti vengono travolti e trascinati via in un viaggio da cui non faranno ritorno.

Cinzia Scura ricorda il cielo grigio che si è formato verso le 15.00 del pomeriggio, già preludio di quello che sarebbe accaduto. «Ho visto questa colonna di acqua potente e insolita venire giù. Non capivo cosa stesse succedendo». E poi delle frasi agghiaccianti da parte di altri escursionisti: “Signora, sa chi possiamo chiamare? Ci sono cadaveri che passano e persone che cercano aiuto”. Cinzia inizia a capire che la situazione è diventata pericolosa. L’unica cosa che riesce a capire in quell’inferno; per il resto, solo confusione. A un certo punto, vede il figlio Giuseppe venire portato in salvo dai soccorritori. «In quel momento è stato come se avessi partorito una seconda volta» afferma, avendo già maturato l’idea di poterlo perdere.

Il falconiere Roberto Rugiano si trova nel suo fondo che affaccia sul torrente mentre l’acqua scorre inarrestabile. Riesce e intravedere le persone in difficoltà grazie ai caschetti arancioni. In particolare, scorge un giovane su un isolotto mentre il livello dell’acqua aumenta a vista d’occhio. Si precipita senza esitare e, con l’aiuto del figlio, lo recuperano per portarlo al pronto soccorso. Nel frattempo, anche il fratello di Roberto sta portando in salvo una ragazza, cugina dello stesso giovane.

Tra gli escursionisti, tre amici pugliesi. Ivan, Miriam e Claudia vengono inghiottiti dall’acqua. Quella che sembrava una semplice onda, via via diventa sempre più opprimente. In quel momento, Ivan capisce che avrebbe dovuto lottare con tutte le sue forze. Ma contro quella furia si stanca presto; perde il respiro a causa della quantità di acqua e fango che ingerisce. Ivan si arrende. Ma, poi, ecco quella che chiama “la mano di Dio”: una pianta. Attende così l’arrivo dei soccorsi, che in maniera efficiente strappano Ivan dalla morsa della morte.

Qualcuno viene messo in salvo. Ma quanti sono i dispersi? Come trovarli in quel caos? Una bambina viene sorprendentemente trovata nei pressi del ponte sulla strada provinciale, dopo aver percorso 3 chilometri in pieno fiume, addirittura saltando due briglie di decine di metri. Chiara arriva in stato di codice rosso, ma arriva salva. Anche sua sorella viene salvata. La stessa sorte, purtroppo, non è riservata ai genitori. Carmen e Antonio perdono, infatti, la vita. Salvatore Bruno ricorda bene quando informò gli spettatori del salvataggio della piccola Chiara nel suo servizio TG per LaC News24. Il caso divenne mediatico a livello nazionale. Tutta l’Italia venne a conoscenza della tragedia del Raganello in cui dieci persone persero la vita a seguito dell’ingrossamento del fiume causato dalla forte pioggia, il 20 agosto 2018.

Amelia De Rasis abbandona la strada che sta percorrendo verso Cerchiara per raggiungere Civita a seguito di una telefonata. Facendo inversione di marcia scoppia in una crisi di pianto prima ancora di appurare l’effettiva notizia che non avrebbe mai voluto scoprire: suo fratello Antonio non c’è più.

Tansi continua la sua ricostruzione ricordando come alcuni corpi, oltre a essere stati denudati dalla furia dell’acqua, sono ormai sfigurati. Iniziano, così, le attività di identificazione chiamando i parenti. Ecco, allora, che un tatuaggio diventa simbolo di riconoscimento di un’altra ragazza che non ha avuto fortuna.

Il 20 agosto 2018, una grossa meteora ombreggia già dalle ore 10.52 sulle timpe inospitali della zona di San Lorenzo Bellizzi, a detta di Pasquale Saladino, ingegnere della difesa del suolo. Poco dopo scoppia in una bufera che rende impossibile l’avanzare delle auto in autostrada: è appena scoppiata quella che gli esperti chiamano una cloudburst (esplosione di nuvola). Alla briglia sottostante il Ponte di Malamorte, il livello dell’acqua raggiunge 1,70 metri, altezza superata nelle gole più strette. Eppure, a Civita (appena 7 km lontano) c’è il sole. Un sole ingannatore che da lì a poco scompare per lasciare spazio a «una lama d’acqua che avvolge le povere vittime con una forza e una velocità impossibili da fermare, portando con sé una devastazione inevitabile» per riprendere sempre Saladino.

L’allerta diramata dalla Protezione Civile il 20 agosto è di livello giallo. Carlo Tansi sottolinea come anche questo grado di allerta indichi una condizione di pericolo reale, non trascurabile. Ed è proprio qui che si apre l’interrogativo più doloroso: di fronte a eventi meteorologici sempre più violenti e localizzati, può dirsi sufficiente una comunicazione formale del rischio? Oppure la responsabilità delle istituzioni impone l’adozione di misure preventive più stringenti? (fine prima parte)