La ’Ndrangheta partecipò alle stragi ma per la Cassazione le sentenze sono andate fuori tema su Servizi, massoneria e politica
Confermato il patto tra clan calabresi e siciliani nei primi anni 90. Gli ermellini però contestano la ricostruzione del disegno complessivo: «Vaghe ipotesi sugli ultimi 50-60 anni di storia d’Italia non possono passare per verità processuale». Un giudizio che farà discutere
La ’Ndrangheta partecipò alla strategia stragista di Cosa Nostra. Un passaggio chiave, questo, sul quale la Corte di Cassazione mette un sigillo definitivo. La sentenza che chiede un secondo giudizio d’appello per Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano smonta l’individuazione dei due come mandanti dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo ma conferma il contesto, cioè «i rapporti e le cointeressenze tra le due organizzazioni criminali nell'arco temporale degli agguati e soprattutto (…) anche gli incontri tra esponenti di dette organizzazioni criminali sul territorio calabro con cui la 'Ndrangheta decideva di aderire alla "strategia stragista" di Cosa Nostra, mediante il compimento dei delitti sub iudice anche sul territorio di pertinenza».
Clan calabresi e siciliani hanno pianificato un pezzo di quella «strategia del terrore con l’intento di ridurre lo Stato a trattare in tema di benefici penitenziari e quanto alla disciplina dei “pentiti”». La «causale» degli omicidi dei due carabinieri e del tentato omicidio di altri due militari dell’Arma (Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo) è stata, dunque, «adeguatamente individuata».
Fondamenti della ricostruzione sono i racconti di personaggi «a pieno titolo inseriti o comunque contigui ai contesti criminali» indagati, «cui si affianca la fondamentale argomentazione di ordine logico secondo cui delitti "eccellenti" potevano essere portati a compimento in territori notoriamente sotto il controllo della 'ndrangheta solo con il placet delle "cosche" in quel momento dominanti».
Altra dimostrazione della delicatezza di quegli omicidi e tentati omicidi e di quanto fossero stati importanti negli equilibri criminali è «la rapida ascesa di Consolato Villani (già condannato come esecutore materiale, ndr) che - dopo gli attentati - fece "una carriera fulminea" all'interno dell'organizzazione di 'ndrangheta raggiungendo i gradi più elevati della società maggiore, prima di "evangelista" e poi di "santa"».
Attentati, dunque, pianificati con il consenso del gotha della ’Ndrangheta che, per la loro esecuzione, aveva premiato Villani facendone un capo.
‘Ndrangheta stragista, «non dimostrato adeguatamente» il ruolo di Graviano e Filippone nell’attentato a Fava e Garofalo’Ndrangheta stragista, perché non c’è certezza sui mandanti
Se per un verso il contesto è provato, mancano – sempre secondo i giudici di Cassazione – certezze sui mandanti perché le dichiarazioni valorizzate nella sentenza d’appello «sono connotate da evidenti e, allo stato, insanabili contraddizioni». È stato proprio il confronto tra le dichiarazioni di Villani, oggi collaboratore di giustizia, e quelle del pentito Antonino Lo Giudice a non convincere i giudici della Suprema Corte, secondo cui nei verbali dei due c’è «un insanabile contrasto: entrambi dicono di avere appreso dall’altro le informazioni in oggetto».
Per la Cassazione quindi è «evidente il “corto circuito”: vi è un contrasto non risolto che riguarda le prove centrali nell’ottica della stessa sentenza per dimostrare, sulla base della partecipazione agli incontri organizzativi della strategia omicidiaria, la responsabilità degli imputati». Quegli omicidi e tentati omicidi inseriti nel patto criminale per piegare lo Stato restano senza mandante in attesa di un nuovo processo d’appello. L’«inquadramento degli episodi nella strategia stragista degli anni 90» resta «fermo»; il nuovo giudizio d’appello dovrà concentrarsi sul «tema centrale delle prove specifiche a carico degli imputati per avere contribuito al mandato omicidiario, anche eventualmente esercitando poteri istruttori (come, del resto, richiesto dalle difese), con piena libertà di giudizio con il solo limite di non ripetere gli errori sopra segnalati nelle valutazioni dei collaboratori Lo Giudice e Villani».
«’Ndrangheta stragista, teorema dissolto ma aspettiamo la motivazione»: esultano gli avvocati di FilipponeIl contenuto della sentenza «eccentrico rispetto alle valutazioni»
Punto dolente: la sentenza di primo grado è, per gli ermellini, «caratterizzata da “elefantiasi” per la motivazione “ipertrofica”». Oltretutto, «la maggior parte del suo contenuto» risulta «del tutto eccentrico rispetto alle imputazioni». La motivazione, infatti, «si spinge, soprattutto ricorrendo all'acritica trascrizione/esposizione delle prove, a trattare in modo indistinto altre vicende non facilmente ricollegabili al tema centrale». Colpa, valuta la Corte, di «una inversione logica»: anziché partire dalle prove degli omicidi «si è fatto il contrario. La sentenza ricostruisce un complessivo contesto di decenni di vicende varie per farne emergere, senza neanche riconoscerne una particolare centralità nella narrazione complessiva, i fatti di causa». Le due pronunce analizzate «sono evidentemente caratterizzate dalla eccessività e ridondanza delle motivazioni, tali da offuscare le ragioni della decisione».
Nelle sentenze «vaghe ipotesi sugli ultimi 50-60 anni di storia italiana»
In particolare, argomentano i giudici, «presentano un contenuto in larga parte del tutto eccentrico e, apparentemente, mirato alla ricostruzione alternativa degli ultimi 50-60 anni di storia italiana, formulando vaghe ipotesi, più che ricostruzioni, di relazioni tra bande criminali mafiose e non, gruppi politici estremisti votati alla eversione dell'ordine democratico, contesti istituzionali genericamente definiti di "servizi deviati" e simili per dare una chiave di lettura personalizzata della nascita e diffusione di più attuali e recenti movimenti e esponenti politici». Se il contesto del patto stragista è provato, quello delle intersezioni tra servizi deviati, destra eversiva e ’ndrangheta viene considerato come un’appendice “fuori tema” del processo.
Nel passaggio, i giudici rimarcano che «le sentenze di merito rischiano di non svolgere tanto la funzione di ricerca della verità processuale dei tragici fatti dai quali muove il processo, gli attentati omicidiari in danno di valorosi esponenti delle forze dell'ordine (…) quanto quella di attestare tali generiche ipotesi finendo per attribuirvi la suggestione di verità (quantomeno) processuale appunto perché contenute in sentenze penali».
«Pentiti quasi mai chiamati a parlare degli agguati ai carabinieri»
Questa costruzione che punta a riscrivere decenni di storia per la Cassazione non ha fondamento giudiziario anche perché «alla base» vi sarebbe «una raccolta di prove riportate in modo generalmente acritico, senza un reale contraddittorio per il sostanziale disinteresse pratico delle difese in quanto la maggior parte non aveva alcuna effettiva incidenza sulle loro posizioni». Gli avvocati difensori erano concentrati sulle posizioni dei loro clienti, non certo sul tentativo di contestare la ricostruzione di un pezzo di storia d’Italia. Gli stessi pentiti «quasi mai sono stati chiamati a parlare degli agguati ai danni dei carabinieri e solo qualcuno della collocazione mafiosa di Filippone». Il rischio, senza contraddittorio, «è quello di "nidificare" nella decisione informazioni del tutto eccentriche (ma anche, ictu oculi, di discutibile affidabilità) senza alcun serio controllo, trasformandole, per l'autorevolezza dell'organo giudicante che le ha trascritte, in fatti accertati».
Non è una censura trascurabile e si traduce in una richiesta esplicita: «riportare il processo nel suo ambito». Infatti, «per quanto le imputazioni portassero inevitabilmente a ricostruire vicende lunghe e complesse, quali sono certamente gli attentati coordinati svolti nei primi anni 90 dalle bande criminali di mafia e ndrangheta, il giudice non può che farlo nell'ambito proprio e senza divagare per proporre ipotesi "storiche"».
’Ndrangheta stragista, annullati gli ergastoli a Graviano e Filippone per l’omicidio dei carabinieri Fava e GarofaloLa critiche sul racconto dei rapporti tra mafie, politica e massoneria
Gli ermellini si concentrano su una «ricostruzione storica sostanzialmente alternativa» che riconduce «alla nascita di movimenti politici rappresentativi della convergenza di aree devianti politico-criminali». La definisce «suggestiva» ma poi la boccia perché «si basa su generiche ricerche in rete, incontrando un limite di utilizzabilità e un limite di affidabilità». Insomma, si tratterebbe di «notizie acquisite su internet». Tutta la ricostruzione contenuta nelle due sentenze, sul piano degli interessi criminali coperti dalla nascita di nuove formazioni politiche, viene considerata inattendibile.
La motivazione va considerata «abnorme nella parte in cui affronta temi non oggetto del processo e con impostazione di tipo storico-giornalistico sulla base di elementi non qualificabili quali prove ammesse nel processo penale». Il riferimento si fa ancora più esplicito e riguarda i paragrafi “Rapporti tra organizzazioni criminali-politica-massoneria” e “Falange Armata e Servizi segreti”».
Il contesto c’è ma viene meno il disegno politico
L’asse tra Cosa Nostra e ’Ndrangheta dietro le stragi è provato ma per la Cassazione il tentativo di ricostruire il disegno politico sotteso a quel legame (e alle stragi stesse) travalica i compiti del processo. Specie quando cerca di dimostrare che le mafie sarebbero passate dall’appoggio alle Leghe meridionali a un sostegno per la nascente Forza Italia. Nella gigantesca documentazione raccolta non mancano riferimenti a quei passaggi politici, così come il legame presunto tra le stragi e la Falange Armata compare proprio in una iniziale rivendicazione firmata dalla misteriosa sigla: per la Cassazione, però, quella parte del lavoro è andata fuori tema. In appello si ripartirà dalle accuse rivolte al boss di Brancaccio e al capomafia di Melicucco. Gli ermellini chiedono ai giudici di secondo grado di limitarsi soltanto a quello.