“Lezioni di mafie”: la potenza della parola contro il silenzio del crimine nel nuovo programma di Gratteri
Con la sua capacità di raggiungere milioni di persone, il piccolo schermo diventa così un’arma democratica. Non si tratta di fare spettacolo, ma di usare il mezzo più potente dell’era moderna per smascherare il potere invisibile delle mafie
In un mondo dove la comunicazione si frammenta tra post veloci, reel istantanei e slogan usa-e-getta, "Lezioni di mafie", il nuovo programma di La7 in onda questa sera, si staglia come un faro di narrazione profonda, audace e necessaria. Guidato dal procuratore Nicola Gratteri, affiancato dallo storico Antonio Nicaso e dal giornalista Paolo Di Giannantonio, questo ciclo di quattro serate è un atto di resistenza culturale, un grido che rompe il silenzio complice sulle mafie moderne. È la dimostrazione che la comunicazione, quando è autentica e coraggiosa, può diventare un’arma più potente di qualsiasi arsenale criminale.
Gratteri: «Le riforme della giustizia rallentano i magistrati e favoriscono i delinquenti»In un’epoca in cui le mafie si sono evolute, mimetizzandosi nei circuiti della finanza globale, nei social media e nel dark web, "Lezioni di mafie" sceglie di non semplificare, ma di spiegare. “Lezioni di mafie” educa, con un linguaggio che mescola rigore analitico e passione civile. Nicola Gratteri, figura carismatica e controversa, incarna questa comunicazione senza filtri: un magistrato che rifiuta il ruolo del funzionario silenzioso e si espone, consapevole che “il silenzio può essere complicità”. La sua scelta di parlare in TV, gratuita e senza compromessi, è un atto di sfida alle mafie, ma anche a un certo sistema culturale che troppo spesso preferisce l’indifferenza all’impegno.
La prima puntata
La prima puntata è dedicata alla 'ndrangheta, che da un pugno di villaggi montani è diventata una potenza globale. Gratteri racconta la storia, la disseziona, ne svela i meccanismi, ne mostra le infiltrazioni nella politica e nell’economia. Ma, soprattutto, dà voce a chi resiste, a chi dice “no”. Questa è comunicazione che non si accontenta di informare, ma vuole ispirare, spingendo i cittadini, soprattutto i giovani, a non abbassare lo sguardo.
Il nuovo programma riprende il testimone di un gigante, Giovanni Falcone, e della sua "Lezioni di mafia" del 1991. Quel programma, nato alla vigilia della strage di Capaci, era un manifesto di divulgazione. Falcone usava la televisione per smascherare Cosa Nostra, rendendo il linguaggio tecnico accessibile a tutti. Oggi, Gratteri e il suo team aggiornano quella missione, adattandola a un mondo globalizzato e digitale. Parlano di “Camorra Social Club”, di “Cyber Padrini”, di cocaina come “oro bianco” che lega mafie e mercati legali. È una comunicazione che non si limita a denunciare, ma contestualizza, mostrando come le mafie non siano un problema del Sud, ma una minaccia globale che tocca tutti.
Registrato al Teatro Palladium di Roma con studenti universitari, il programma adotta un format che mescola lezione accademica e dialogo generazionale. Non è un talk show urlato, né un’inchiesta sensazionalistica, ma è un’aula aperta, dove la comunicazione si fa ponte tra passato e futuro. Gli studenti di Roma Tre sono interlocutori attivi, simbolo di una gioventù che deve essere informata per non essere manipolata. Questa scelta riflette il principio fondamentale che la comunicazione antimafia è denuncia e, nello stesso tempo, costruzione di consapevolezza.
Ma non tutti applaudono. C’è chi accusa Gratteri di “narcisismo”, di trasformare la toga in un riflettore. “Il Giornale” e “Il Dubbio” lo criticano per l’eccessiva esposizione mediatica, per l’assenza di contraddittorio, per il rischio di spettacolarizzare la giustizia. Ma queste critiche, pur legittime, sembrano fraintendere il cuore della sua missione. Gratteri non cerca consenso, cerca impatto. La sua risposta è tranchant: “Chi vuole i magistrati muti apra un procedimento disciplinare”, ha detto il procuratore ieri sera ospite di “Otto e Mezzo”. In un Paese dove le mafie prosperano nel silenzio e nell’omertà, la comunicazione pubblica di un procuratore non è vanità, ma necessità.
La televisione, con la sua capacità di raggiungere milioni di persone, diventa così un’arma democratica. Non si tratta di fare spettacolo, ma di usare il mezzo più potente dell’era moderna per smascherare il potere invisibile delle mafie. Ogni parola di Gratteri, ogni analisi di Nicaso, ogni domanda di Di Giannantonio è un mattone tolto al muro dell’indifferenza.
"Lezioni di mafie" ci ricorda che la comunicazione non è mai neutrale. Può essere un’arma di distrazione di massa o uno strumento di emancipazione. In un mondo dove le mafie usano i social per reclutare e il dark web per riciclare, la risposta non può essere il silenzio, ma una comunicazione altrettanto sofisticata, che parli alla testa e al cuore. Questo programma è un invito a non delegare, a non voltarsi dall’altra parte, a non pensare che le mafie siano un problema “degli altri”. È un appello ai giovani, ai cittadini, ai media stessi, a fare della parola un baluardo contro l’illegalità.
“Lezioni di mafie" è un manifesto per un’Italia che non si arrende, che sceglie la parola contro il silenzio, la conoscenza contro l’ignoranza, la luce contro l’ombra. E in questo, Gratteri ci insegna che comunicare è, prima di tutto, un atto di coraggio.
*Documentarista