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18/06/2025 ore 08.26
Cronaca

«Manipolatrice e violenta, avrebbe potuto evitare l’aggressione fatale a Ferrerio»: i motivi della condanna a 12 anni per Anna Perugino

La donna avrebbe organizzato il finto appuntamento con il corteggiatore della figlia per «sfogare i suoi impulsi». A farne le spese per uno scambio di persona il 20enne ridotto in coma irreversibile. La Corte: «L’esistenza di Davide in vita è un fatto puramente formale».

di Alessia Truzzolillo

L’11 agosto 2022 Davide Ferrerio, ventenne bolognese in vacanza a Crotone con la famiglia, cessava la sua giovane vita. Sì perché da quella sera, in seguito a un violento pestaggio, il ragazzo è finito in coma irreversibile e, scrivono i giudici della Corte d’Appello di Catanzaro, al momento l’esistenza di Davide in vita è un fatto «puramente formale». A colpire materialmente il ventenne è stato Nicolò Passalacqua, condannato in via definitiva a 12 anni e otto mesi di reclusione. Ma, secondo la Corte, dietro l’aggressione brutale portata a compimento da Passalacqua c’è «la negativa personalità» di Anna Perugino la quale «ha agito per uno stimolo irrisorio coinvolgendo più persone, tra le quali minorenni, che anche in precedenti occasioni non ha esitato a porre in essere atti di violenza o minaccia privi di giustificazione, del tutto incapace di comprendere l’entità della sua condotta». Nel corso del processo l’imputata, scrivono i giudici, avrebbe «simulato le vesti della vittima, pronta ad addossare la responsabilità sul giovane da lei stessa manipolato ed armato, strumentalizzato per il raggiungimento dei suoi insani propositi, nonché l’oggettiva eccezionale gravità del fatto realizzato, che ha condotto il povero Davide Ferrerio alla cessazione della sua giovane vita, essendo allo stato puramente formale la sua esistenza in vita».

Davide Ferrerio in coma dopo un pestaggio, condannata a 12 anni la donna accusata di essere l’istigatrice dell’aggressione

In coma per una camicia bianca

Anna Perugino è stata condanna in appello a 12 anni di reclusione per concorso anomalo in tentato omicidio. Una pena ben più severa degli otto anni per lesioni gravissime comminata in primo grado.
Ma facciamo un passo indietro.
Anna Perugino, 44 anni, ha una figlia che nel 2022 era minorenne. Secondo l’accusa, la donna si era accorta che un uomo aveva approcciato la figlia su Instagram, usando nome e cognome dell’ex findanzatino, e insieme alla ragazza (per la quale si è proceduto separatamente e che è stata affidata ai servizi sociali) avrebbero agito «con violenza, minaccia, percosse e/o lesioni personali» per costringere il misterioso uomo a cessare l’interlocuzione con la minore. Il piano era quello di dare un falso appuntamento all’utilizzatore dell’account Instagram, convinto di incontrare la ragazza, ma di presentarsi in gruppo per dargli una lezione.

Aggressione a Davide Ferrerio, definitiva la condanna a 12 anni e 8 mesi per Nicolò Passalacqua

Sarebbe stata Anna Perugino a contattare il compagno Andrej Gaju e Nicolò Passalacqua, innamorato della figlia, perché si presentassero anche loro all’appuntamento. Ma il 30enne che aveva avvicinato la giovane sul social network, Alessandro Curto (prosciolto dalle accuse contestate inizialmente), accortosi dell’aria che tirava (perché Perugino gli si era avvicinata con aria minacciosa) aveva negato di essere la persona dell’appuntamento e, allontanandosi, aveva mandato un messaggio alla ragazza dicendole di aver indossato una camicia bianca. Un capo di uso comune che quella sera ha condannato al coma irreversibile Davide Ferrerio il quale passava da quelle parti e, avvistato da Passalacqua, è stato inseguito e, una volta raggiunto, colpito con un violento pugno nella parte posteriore del cranio, fatto roteare di 180 gradi e colpito con una ginocchiata allo sterno e almeno un altro pugno al volto. Doveva essere quella una prova d’amore per la ragazza della quale era invaghito. Infine il gruppo si è allontanato dal luogo dell’aggressione mentre Ferrerio, senza nemmeno sapere perché, versava in condizioni sempre più drammatiche.

Futili motivi

La Corte ha accolto il ricorso dell’aggravante dei futili motivi che avrebbero spinto Anna Perugino a organizzare il finto appuntamento.
«Ritiene la Corte – è scritto nella sentenza – che lo stimolo all’azione violenta di Perugino Anna era costituito dal fatto che uno sconosciuto aveva contattato la figlia via messaggio. L’uomo si era limitato a fare dei complimenti e a chiedere un appuntamento con la minore senza in alcun modo utilizzare espressioni sgarbate né invasive della sfera della ragazza e sarebbe stato agevole impedire qualsiasi ulteriore interlocuzione, semplicemente scoraggiando lo sconosciuto, così come ci si sarebbe aspettati da qualsiasi genitore. Di converso, era stata proprio Anna Perugino ad invitare la figlia a non cessare tale interlocuzione ed anzi provocare l’incontro con lo sconosciuto, all’evidente fine di dare al predetto una lezione, perché colpevole di avere contattato la figlia. Non sembra pertanto potersi dubitare che lo stimolo che ha indotto Perugino Anna alla violenza fosse talmente irrilevante da consentire agevolmente di rilevare che si trattasse di un pretesto per sfogare i suoi impulsi ingiustificatamente violenti».

La condanna al compagno di Perugino

In appello è stato condannato a cinque anni e otto mesi Andrej Gaju che in primo grado era stato assolto. Secondo la Corte d’Appello, anche se Gaju non era vicino alla vittima al momento dell’aggressione, questo non è dovuto al fatto che fosse estraneo al contesto della spedizione punitiva poiché, infatti, stava inseguendo Curto, per verificare se fosse o meno l’uomo che stavano cercando. Secondo i giudici «non sembra potersi dubitare del fatto che l’azione dell’imputato fosse finalizzata a portare a compimento l’azione, consistente nel bloccare e ledere l’uomo, qualora si fosse accertato che Curto s’identificasse nello sconosciuto».

Una sentenza, quella d’appello, che aggrava parecchio la posizione di Perugino e Gaju e sulla quale i legali dei due imputati, gli avvocati Aldo Truncè e Michele Loprete, non esiteranno a fare ricorso in Cassazione.