Mottarone, la sorella della vittima calabrese Serena Cosentino: «Condanne ridicole, l’hanno uccisa due volte»
Dopo la sentenza, la famiglia rompe il silenzio: «Grazie ai soldi non andranno in carcere neanche per un giorno, così la giustizia non esiste. Queste pene fanno raddoppiare il dolore: è una vergogna per l’Italia». Un’associazione porterà avanti il nome della giovane ricercatrice di Diamante
La voce di Federica Cosentino, 37 anni, è carica di dolore e rabbia. Sua sorella Serena, ricercatrice brillante originaria di Diamante, in provincia di Cosenza, è una delle 14 vittime della tragedia della funivia del Mottarone, precipitata il 23 maggio 2021. Federica affida a La Stampa le sue impressioni dopo la sentenza che ha chiuso la storia giudiziaria della strage con tre patteggiamenti a pene lievi: «Per non fermare la funivia, dunque per soldi, hanno ucciso Serena. E grazie ai soldi dei risarcimenti hanno patteggiato condanne ridicole. Tutto ruota attorno al denaro».
Serena, laureata con 110 e lode alla Sapienza di Roma in monitoraggio ambientale, si era trasferita da poche settimane a Verbania grazie a una borsa di studio al Cnr per un progetto sulle microplastiche. Con lei morì anche il fidanzato, Hesam Shahisavandi, 33 anni, iraniano, studente alla stessa università, dove stava concludendo la tesi in ingegneria civile.
Condanne ridotte dal patteggiamento
A distanza di oltre quattro anni, la giustizia ha scritto la parola fine sulla vicenda giudiziaria. Giovedì scorso il tribunale ha ratificato i patteggiamenti: 3 anni e 10 mesi per il concessionario dell’impianto Luigi Nerini, 3 anni e 11 mesi per il direttore d’esercizio Enrico Perocchio e 4 anni e 5 mesi per il caposervizio Gabriele Tadini.
Una decisione che ha ferito nuovamente le famiglie. «La ferita non si chiuderà mai, a prescindere dal processo. Però con questo epilogo hanno ucciso per la seconda volta nostra sorella, nostro cognato Hesam e altre 12 persone. La sentenza è inaccettabile. Queste pene fanno raddoppiare la nostra sofferenza e la rabbia. Ci sentiamo presi in giro: è una vergogna per tutto il Paese. La giustizia così non esiste», dice Federica a La Stampa.
«Un processo ridicolo, una farsa»
La delusione di Federica e della sua famiglia è profonda. «Secondo me hanno prolungato i tempi per arrivare a una sentenza di questo tipo. Il patteggiamento in verità era auspicabile, ma non certo poco più di 3 anni. Penso che queste persone probabilmente non faranno neanche un giorno di carcere. È davvero ridicolo, ci sembra una farsa».
La famiglia Cosentino ha scelto per anni il silenzio, confidando nella giustizia. Ma oggi non può più tacere. «Hanno detto che ora si può voltare pagina: non di certo Serena, e nemmeno chi come noi le ha voluto bene».
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Federica e i suoi familiari non hanno partecipato alle udienze di Verbania. «Saremmo voluti andare per il processo e ascoltare la lettura delle condanne. E invece non è stato così». E non hanno accolto la lettera di scuse scritta dal caposervizio Tadini: «Avrebbe dovuto scriverla quattro anni fa, non ora che sa di non farsi nemmeno un giorno di carcere. Per quanto riguarda il perdono noi non siamo nessuno, e ora non so dire se mai riusciremo a concederglielo. Magari un giorno lo chiederà a qualcun altro lassù».
La memoria che diventa speranza
Dal dolore, però, la famiglia Cosentino ha fatto nascere un segno di speranza. «Con l’associazione Serena Cosentino, nata a febbraio di quest’anno, vogliamo finanziare progetti di ricerca e di beneficenza attraverso l’organizzazione di eventi. Mia sorella era ricercatrice e noi vogliamo, per quanto possibile, onorare la sua memoria anche attraverso questi progetti».
Le prime iniziative sono già in corso: «Abbiamo contribuito alla costruzione di una scuola in Benin e ci stiamo muovendo per un progetto di ricerca con l’Università della Calabria. Abbiamo inoltre acquistato un frigorifero per la conservazione del latte all’ospedale di Cetraro, nei reparti di pediatria e ginecologia. E altre iniziative sono in cantiere».
«Condannati alla sopravvivenza»
Il dolore, però, resta insopportabile. «Non è più vita, ma si è condannati alla sopravvivenza. Noi cerchiamo e cercheremo fino alla fine dei nostri giorni di andare avanti ma con la morte nel cuore che queste persone hanno causato».