’Ndrangheta, chieste condanne per quasi 5 secoli di carcere a Roma: i pm invocano 30 anni per il boss Vincenzo Alvaro
L’indagine della Dda e della Dia smantella la prima locale romana: accuse di associazione mafiosa, droga, estorsioni e riciclaggio per una quarantina di imputati
La procura di Roma ha chiesto condanne per un totale di oltre 450 anni nei confronti di una quarantina di imputati nel procedimento nato dalla maxi inchiesta "Propaggine” della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Dia contro la prima locale ufficiale di 'ndrangheta nella Capitale.
In particolare, i pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani, nel processo con rito ordinario hanno sollecitato una pena di 30 anni per il boss Vincenzo Alvaro. La stessa pena, 30 anni, è stata sollecitata anche per Marco Pomponio, mentre per Giuseppe Penna la richiesta e' di 24 anni e 11 mesi. Per Antonio Palamara i magistrati hanno chiesto una condanna a 21 anni e 9 mesi, mentre per Francesco Greco la pena sollecitata è di 19 anni e 5 mesi.
Nell'inchiesta vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la 'ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel febbraio scorso in Appello i giudici di Roma avevano emesso condanne per oltre cento anni di carcere nel processo che si era celebrato invece con rito abbreviato, fra i quali il boss Antonio Carzo a 18 anni, e i figli Domenico e Vincenzo, condannati a 12 anni e mezzo il primo e a 9 anni e 6 mesi il secondo.
A capo della 'ndrina di Roma, secondo l'impianto accusatorio della procura di Roma, c'erano proprio Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo: Carzo nell'estate del 2015 aveva ricevuto dalla casa madre della 'ndrangheta l'autorizzazione per costituire una locale nella Capitale, retta dallo stesso Carzo e da Alvaro.
''Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto'', dicevano in un'intercettazione. E nelle conversazioni riportate nell'ordinanza del gip Gaspare Sturzo alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: ''c'è una Procura... qua a Roma ... era tutta ...la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino''…''e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri ...Cosoleto ... Sinopoli... tutta la famiglia nostra...maledetti''.