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31/10/2025 ore 19.12
Cronaca

‘Ndrangheta in Toscana, 8 condanne per usura e riciclaggio: l’inchiesta partita dalla denuncia di un imprenditore

L’uomo era stato minacciato per non aver ripagato un prestito: 30mila euro che il giorno dopo erano diventati 35mila. Nel processo a Firenze caduta l’aggravante di aver agito con metodo mafioso

di Redazione Cronaca

Cade l'aggravante di aver agito con metodo mafioso nella raffica di condanne del tribunale di Firenze su presunti reati di frodi-carosello e di riciclaggio di denaro della cosca calabrese Scimone tra aziende del distretto del Cuoio di Santa Croce sull'Arno (Pisa). Il processo è scaturito dall'inchiesta “Vello d'oro” della Dda fiorentina.

Il tribunale ha inflitto pesanti per le accuse, a vario titolo, di usura, riciclaggio, autoriciclaggio e emissione di fatture per operazioni inesistenti, a 8 su 12 imputati, tra cui Antonio Scimone (5 anni 4 mesi di reclusione più una multa di 10.000 euro per usura e episodi di riciclaggio), il suo uomo di fiducia a Firenze Cosma Damiano Stellitano (4 anni e multa da 7.400 euro per usura, più alcuni episodi di riciclaggio), Giuseppe Nirta, nipote dell'omonimo capo della 'ndrina La Maggiore di San Luca di Calabria (2 anni 6 mesi, multa da 6.000 euro per usura). Sempre Scimone, Stellitano e Nirta sono stati assolti nel merito e prosciolti per prescrizione da altre vicende di usura, riciclaggio, tentata estorsione aggravato dal metodo mafioso ed esercizio abusivo di attività finanziarie senza l'autorizzazione della Banca d'Italia. Prosciolto per prescrizione Antonio Barbaro, che era accusato di autoriciclaggio.

L'inchiesta era partita nel 2014 dalla denuncia di un imprenditore conciario ai carabinieri di Empoli. L'imprenditore, secondo quanto ricostruito, in un aspetto della vicenda, aveva subito minacce per non aver pagato un prestito che gli era stato concesso a tassi di usura: si trattava di 30.000 euro di cui rendere 35.000 euro il giorno dopo, con un incremento del 17% giornaliero. Le indagini, coordinate dall'allora pm Dda Firenze Ettore Squillace Greco, hanno ricostruito che il denaro arrivava in Toscana dalla Calabria e veniva consegnato, contestualmente all'emissione di fatture false, per un acquisto inesistente di pellami. La fattura finta era la “pezza d'appoggio” che lo stesso imprenditore della zona di Empoli avrebbe dovuto pagare a Stellitano per giustificare l'aumento di denaro maggiorato. Per questo episodio sono stati condannati Scimone, Stellitano e Nirta.