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11/09/2025 ore 11.21
Cronaca

Omicidio Chindamo, il pentito Arena: «Ci raccontarono i guai giudiziari di Ascone per aver alterato delle telecamere»

Il collaboratore è stato sentito davanti alla Corte d’Assise sull’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello e sul delitto di Angelo Antonio Corigliano

di Alessia Truzzolillo

«In risposta all’omicidio di Giuseppe Mesiano hanno ucciso il figlio di Peppino Corigliano». Nell’aula di Corte d’Assise di Catanzaro parla il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, 49 anni, ex esponente della ‘ndrangheta di Vibo Valentia. L’omicidio di Angelo Antonio Corigliano, racconta, avvenuto il 19 agosto 2013 nel centro abitato di Mileto, sarebbe stato voluto per vendicare la morte di Giuseppe Mesiano. Sangue chiama sangue.

Bartolomeo Arena racconta di avere appreso questi fatti da Leoluca Lo Bianco, detto U Ruzzu, perché il suo gruppo coi Mesiano «aveva dei comparaggi». Arena aggiunge di aver appreso che ad essere coinvolti nell’agguato erano «Salvatore Pititto e uno dei fratelli Iannello», racconta senza specificarne il nome.
Arena aggiunge poco altro: che i sicari «hanno usato uno scooter e usato una pistola», che «Salvatore Pititto aveva un ruolo verticistico ed era reggente quando non c’era suo cugino».

Il pentito racconta di aver parlato di questa vicenda con Leoluca Lo Bianco intorno al 2015/2016 e rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Di Renzo specifica che all’epoca il suo interlocutore aveva la misura della sorveglianza speciale. Il difensore gli chiede il perché di una rivelazione ritenuta inedita: il concorso nell’omicidio di uno dei fratelli Iannello in aiuto a Salvatore Pititto.

Arena risponde di averlo detto perché gli era venuto in mente. E per quanto riguarda i Iannello spiega di avere conosciuto un Rocco Iannello negli anni vicini alla sua collaborazione e di avere saputo che aveva un fratello. La conoscenza sarebbe avvenuta tramite un uomo che aveva un negozio di telefonia.

L’omicidio Chindamo

Per quanto riguarda l’omicidio di Maria Chindamo, avvenuto a Limbadi il sei maggio 2016, e per il quale è imputato Salvatore Ascone, Bartolomeo Arena afferma che il suo gruppo ha avuto a che fare con Ascone «tramite persone di ‘ndrangheta di Limbadi». In particolare cita «Giovanni Gallone detto Pizzichino che aveva la dote dello sgarro ed era attivo nel locale di Limbadi. Da Ascone abbiano preso cocaina tramite Gallone».

«Legge i giornali?», chiede nel corso del controesame l’avvocato Salvatore Staiano. Arena dice di non leggere i giornali locali e il difensore si mostra d’accordo definendo «tossici» i quotidiani locali.
Nel corso del controesame il collaboratore racconta che si sapeva che Maria Chindamo aveva fatto una brutta fine. «Gallone ci disse che Ascone aveva problemi con la giustizia perché aveva manomesso le telecamere davanti alla proprietà Chindamo».

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L’avvocato Staiano contesta al collaboratore di aver parlato della vicenda Chindamo a distanza di cinque anni dalla propria collaborazione. Su questo punto nasce una contesa tra il difensore e il pm Andrea Buzzelli, il quale asserisce che già nel 2019, Arena si riferisce ad Ascone come coinvolto nell’omicidio Chindamo e questo risulta nell’informativa dell’inchiesta Maestrale – alla quale appartiene il troncone omicidi discusso davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro – che riporta il verbale del 2019 (allegato 153). L’avvocato Staiano chiede il rinvio dell’udienza perché non ha visionato il verbale ma il presidente della Corte fa proseguire l’udienza.

Le difese prendono visione dei documenti prodotti dall’accusa ma restano ferme sulle proprie osservazioni. L’esame si conclude con un’ultima domanda del presidente che chiede come facesse Arena a sapere che Ascone fosse coinvolto nell’omicidio Chindamo. Il collaboratore ribadisce quanto appreso da Gallone sui guai giudiziari di Ascone per «aver alterato le telecamere». Poi aggiunge: «Era coinvolto però non so in che veste».