Omicidio a Lamezia, Bruno Di Cello ucciso con una calibro 38 senza matricola. Il padre: «Me la lasciò mio suocero»
Nei prossimi giorni l’autopsia della vittima. Domani l’interrogatorio di garanzia nei confronti di Francesco Di Cello, reo confesso del delitto. L’uomo ha reso un lungo interrogatorio agli inquirenti ma restano ancora particolari importanti da chiarire
È partito da una calibro 38 quell’unico colpo che la mattina del due maggio scorso ha ucciso Bruno Di Cello, 35 anni, colpendolo in pieno volto. A sparare suo padre, Francesco Di Cello, 64 anni, guardia giurata in pensione. L’uomo, dopo il delitto, si è costituto e ha reso un lungo interrogatorio, nel commissariato di Polizia di Lamezia, davanti al sostituto procuratore Gualberto Buccarelli, al dirigente del commissariato Antonio Turi, e ai propri difensori, gli avvocati Renzo Andricciola e Pino Spinelli.
Richieste di denaro ai genitori e una condanna per estorsione: un contesto di disperazione dietro al delitto di LameziaAl 64enne, posto in stato di fermo e condotto nel carcere di Catanzaro, viene contestato il reato di omicidio, detenzione e porto abusivo di arma clandestina e di ricettazione della stessa arma. Sì perché la calibro 38 adoperata da Di Cello è senza matricola, dunque non censita, e detenuta illegalmente. Nel corso dell’interrogatorio l’uomo ha spiegato che quell’arma gli era stata lasciata dal suocero dieci anni fa. Un aspetto che Francesco Di Cello non ha chiarito, però, è perché avesse la pistola con sé il giorno del delitto quando si è recato al Villaggio la Marinella, nella zona costiera di Lamezia Terme, perché chiamato dal figlio che aveva una gomma a terra. Un particolare, questo, non di poco conto che probabilmente verrà fuori con l’avanzare del procedimento.
Quello che è possibile ricostruire oggi è che i rapporti tra la vittima e la famiglia erano tesi da parecchi anni. Il 35enne, infatti, aveva avuto una condanna per estorsione in seguito a una denuncia degli stessi genitori, esasperati dalle continue richieste di denaro da parte del giovane che aspirava a un tenore di vita che, da solo, non poteva permettersi. Aspirante modello e fashion blogger, viveva con una piccola pensione di invalidità in seguito alla diagnosi di problemi psichici. Ma le auto – compresa l’Alfa Romeo Giulietta bianca oggi posta sotto sequestro – erano frutto delle richieste alla famiglia. Ad essere vessati sarebbero stati anche i fratelli minori.
Un clima teso, denunce, liti. L’ultima venerdì scorso alla Marinella, dove il 35enne viveva, finita in tragedia.
Domani è previsto l’interrogatorio di garanzia del padre e, molto probabilmente, anche l’esame autoptico della salma di Bruno Di Cello.