Sezioni
Edizioni locali
21/08/2025 ore 11.50
Cronaca

Pizzo, 210 anni fa la fucilazione di Gioacchino Murat: suo il sogno di un Regno di Napoli prospero e moderno

Da figlio di locandiere a monarca, fu anche cognato di Napoleone avendone sposato la sorella Carolina. Coraggioso fino all’incoscienza, comandante di cavalleria, bello, massone

di Massimo Tigani Sava

A pochi passi da quella suggestiva piazzetta che ogni estate si riempie di turisti e villeggianti desiderosi di degustare il rinomato “tartufo”, 210 anni fa venne fucilato Gioacchino Murat, Re delle Due Sicilie. Era il 13 ottobre del 1815 e su un piccolo piazzale del Castello di Pizzo veniva messo al muro il più intrepido generale di Napoleone Bonaparte, nel tempo diventato anche suo cognato avendo sposato una delle sorelle del Corso, Carolina, che gli diede quattro figli.

Gioacchino Murat era coraggioso ai limiti dell’incoscienza, aitante, bello, fiero, ed era credente: prima di affrontare il plotone d’esecuzione volle confessarsi. La tradizione fa riecheggiare le sue ultime parole, rivolte a quei soldati che dopo un processo tanto frettoloso quanto pilotato da Ferdinando di Borbone ritornato da poche settimane sul trono di Napoli, erano pronti a premere il grilletto: «Mirate al cuore, risparmiate il volto!». Gioacchino affrontò la morte con grande dignità e non volle neanche farsi bendare. I suoi ultimi pensieri, vergati in una commovente lettera scritta in francese, furono rivolti alla moglie e ai figli. La lapide marmorea, ancora oggi appesa proprio sopra l’ingresso principale del Castello di Pizzo, reca un’iscrizione ben leggibile e figlia dei sentimenti dell’Italia sabauda e antiborbonica (è datata 1900): «Alla memoria benedetta del re Gioacchino Murat, principe glorioso, ne la vita impavido davanti la morte, qui dove fu fucilato questa pietra riscatto di un giorno reso tristissimo dalla ferocia di un governo insano il Comune di Pizzo pose».

Gioacchino era nato nell’Occitania francese da una famiglia molto modesta: il padre era un locandiere. In virtù della sua determinazione e della sua fedeltà alla causa del Bonaparte, divenne Maresciallo dell’Impero e poi Re delle Due Sicilie quando nel 1808 Napoleone trasferì il proprio fratello Giuseppe sul trono di Spagna. Dimostro impavide capacità militari già in epoca rivoluzionaria, quando nell’ottobre 1795, a Parigi, alla guida della cavalleria aiutò l’allora giovane generale Napoleone Bonaparte a reprime un forte rigurgito monarchico. Il Corso era stato scelto dal Barras quale comandante delle milizie parigine, proprio con il fine di tutelare la Convenzione Nazionale dal ritrovato entusiasmo realista. In quasi tutte le grandi battaglie che condurranno Napoleone a consolidare l’Impero e a conquistare mezza Europa, le cariche di cavalleria dei dragoni e dei lancieri di Gioacchino furono determinanti perché riuscivano a sfondare e terrorizzare le schiere nemiche. Ad Austerlitz, a Jena, a Eylau le folate di cavalleria comandate da Gioacchino diventarono leggenda, sebbene i suoi detrattori diranno che avesse più coraggio temerario che non capacità raziocinanti. Insomma, non temeva di perdere la vita per la causa e per l’onore, ma certo non era uno stratega alla pari del cognato.

Napoleone apprezzava il coraggio di Murat, sebbene alla fine di un’epoca gloriosa ne constatò dolorosamente il tradimento per quanto motivato dalla poco meditata volontà di difendere il Regno di Napoli. Gioacchino ebbe una gioventù molto travagliata e nella carriera militare, dopo una prima deludente esperienza, ripartì, nel 1791, da soldato semplice. Ma già due anni dopo comandava uno squadrone. Aveva idee rivoluzionarie con simpatie giacobine, però ben presto venne attratto dalla scalata di Napoleone che seguì nella Campagna d’Italia dove si distinse alla guida della cavalleria. In Egitto fu nominato generale e al contempo fu uno dei massimi protagonisti del Colpo di Stato del 18 brumaio 1799 che sancì il consolato per Napoleone e la fine del Direttorio. Intanto era sbocciato l’amore per Carolina che diventò sua moglie agli inizi del 1800. L’ascesa di Murat camminò di pari passo con quella del geniale Corso: maresciallo dell’Impero nel 1804, poi Granduca di Berg, e infine Re di Napoli nel 1808.

Nella capitale partenopea (i Borbone erano caduti nel gennaio 1806 e si erano rifugiati in Sicilia protetti dagli Inglesi) Gioacchino cercò i favori del popolo anche con provvedimenti volti a migliorarne le condizioni economiche. Tra le sue iniziative primarie la costruzione di un esercito napoletano in cui vennero inquadrati anche tanti contadini che uscirono da una condizione di miseria. La sua azione di governo fu ovviamente influenzata dai princìpi della rivoluzione borghese (Gioacchino aveva aderito alla massoneria con ruoli di primissimo piano): contrasto al potere dei baroni, vendita delle proprietà fondiarie in mano agli ordini religiosi, realizzazione di infrastrutture primarie, incentivazione delle iniziative industriali, liberalizzazione delle attività commerciali, radicali interventi di riorganizzazione urbanistica a partire da Napoli. Dal punto di vista normativo nel 1809 introdusse il Codice Napoleonico che, con radici forti nei princìpi della Rivoluzione Francese, favorì profondi mutamenti sociali, come nel caso del diritto di famiglia. Anche da sovrano continuò, nonostante ripetuti contrasti, a sostenere Napoleone nelle sue battaglie, compresa la Campagna di Russia (1812), Nel 1813, dopo la sconfitta determinante di Lipsia da parte delle truppe napoleoniche, la svolta: Murat apre un dialogo con gli Austriaci immaginando di staccare i propri destini, e quelli del Regno di Napoli, dall’Impero francese. Il capovolgimento di fronte, con l’incredulità di Napoleone, culmina nel trattato di alleanza tra Austriaci e Regno di Napoli del gennaio 1814 che, nell’idea troppo ingenua di Gioacchino, avrebbe dovuto impedire la restaurazione borbonica.

Nel maggio dello stesso anno Napoleone viene obbligato all’esilio nell’isola d’Elba. Nel marzo 1815 iniziano i fatidici Cento Giorni del Corso che finiranno con la sconfitta di Waterloo (18 giugno 1815) e l’esilio definitivo nella lontanissima Sant’Elena dove morirà il 5 maggio del 1821. Intanto Murat, deluso dal cambiamento di indirizzo del Congresso di Vienna che virava a favore della restaurazione borbonica, nello stesso marzo 1815 dichiara guerra all’Austria e invade lo Stato Pontificio, risalendo l’Italia verso nord fino a Bologna. Gli Austriaci di Metternich sconfessano i precedenti accordi, si alleano con Re Ferdinando, e sconfiggono ripetutamente Murat tra l’aprile e il maggio 1815. Il Trattato di Casalanza del 15 maggio 1815 mette una pietra tombale sulle ambizioni di Gioacchino che in maggio ritorna in Francia nella speranza di rientrare nella partita del cognato fuggito dall’Elba. Napoleone negò a Murat quest’ultima azione di riscatto, e se ne pentì memore del coraggio dell’intrepido comandante della sua cavalleria che forse a Waterloo avrebbe potuto risultare decisivo.

Ecco allora che l’ex Re di Napoli, constatata la disfatta del Corso, in agosto raggiunge la Corsica dove medita un’azione militare per riconquistare il Regno di Napoli. Il 28 settembre parte da Ajaccio con un piccolissimo esercito: è diretto a Salerno ma una burrasca lo fa sbarcare a Pizzo l’8 ottobre. Viene arrestato e Ferdinando IV nomina il generale Vito Nunziante a capo della commissione chiamata a giudicare Gioacchino. L’intento del Borbone è quello, ovviamente, di chiudere la faccenda nel più tragico dei modi. Il 13 ottobre, come già ricordato, Gioacchino verrà fucilato in quel Castello di Pizzo che oggi si può visitare riportando alla memoria pagine fondamentali della storia del Mezzogiorno d’Italia. Nunziante verrà premiato dal monarca con titoli nobiliari. Un figlio di Gioacchino, Napoleone Luciano Carlo, circa due decenni dopo sarà nominato principe dal cugino Napoleone III e ambasciatore di Francia a Torino.