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26/11/2025 ore 20.14
Cronaca

Caso Shalabayeva, associazioni e familiari delle vittime di mafia in sostegno di Cortese: «Condannato un eroe»

Parole dure dopo la sentenza per l’ex capo della Mobile di Roma: «A lui si deve la cattura dei più pericolosi latitanti. Una carriera infangata senza una ragione, questa giustizia ci confonde e ci fa paura»

di Redazione Cronaca

Un appello «in sostegno» di Renato Cortese, l'ex capo della squadra mobile di Roma condannato nei giorni scorsi dalla Corte d'appello di Firenze per le modalità del rimpatrio in Kazakistan di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, e della figlia di 6 anni, è stato lanciato da alcuni familiari di vittime delle mafie e da associazioni calabresi e siciliane. A firmare l'appello, tra l'altro, la ex presidente del movimento Riferimenti Adriana Musella, il presidente dell'Associazione per onorare la memoria dei caduti contro la mafia Carmine Mancuso, il presidente del Comitato Europeo per la legalità e la memoria Pippo De Vita, Giuseppe Brugnano, segretario nazionale del Sindacato Fsp Polizia di Stato, l'Associazione Falcone e Borsellino.

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«Ancora una volta - è scritto nell'appello - la scure cade su servitori dello Stato che allo Stato hanno dato lustro. Si può uccidere in tanti modi. La morte morale è la peggiore. Renato Cortese, un eroe, storia dell'Antimafia militante, orgoglio dell'Italia intera, uno dei migliori uomini che la Polizia di Stato abbia mai avuto, subisce l'onta di un'incomprensibile condanna per il caso Shalabayeva. Con lui altri 5 alti funzionari. Siamo all'inverosimile, considerando che i giudici di secondo grado di Perugia avevano assolto con un "nulla di dimostrato”, sgretolando il teorema dell'accusa, non supportato da prova alcuna. Anche il procuratore generale di Firenze, Bocciolini, aveva chiesto l'assoluzione. Questa sentenza ribalta la verità accertata, contraddice un'altra Corte d'appello e calpesta dodici anni di dibattimento».

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«Attendiamo le motivazioni. Abbiamo - prosegue l'appello - il diritto di conoscere quale sarebbe l'accusa, forse quella di aver svolto il proprio dovere e avere eseguito le direttive del caso? Siamo basiti. Questa giustizia ci confonde e ci fa paura. A Renato Cortese si deve la cattura dei più pericolosi latitanti, tra cui Brusca e Provenzano. Ha combattuto contro i boss della 'ndrangheta, i clan romani: la storia parla per lui ma evidentemente abbiamo a che fare con una giustizia che mortifica la storia. Cortese ha visto una carriera infangata senza una ragione, senza un perché. Con il suo curriculum era destinato a ricoprire il ruolo di capo della Polizia e invece si ritrova come ricompensa, una condanna a 4 anni e l'interdizione dai pubblici uffici. Questa Giustizia ci disorienta e certamente non è quella che abbiamo sostenuto e in cui abbiamo creduto».