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12/12/2025 ore 11.39
Cronaca

Rubavano reperti archeologici nei parchi di Scolacium, antica Kaulon e Capo Colonna: sgominata rete di tombaroli al servizio della ‘ndrangheta

VIDEO-NOMI | L’operazione ha colpito un’organizzazione strutturata che saccheggiava siti di pregio storico alimentando il mercato illecito e rafforzando il controllo criminale sul territori: «Agevolata la cosca Arena»

di Redazione Cronaca

Nella mattinata odierna, in Calabria e Sicilia, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (Tpc) hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal Gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, che ha coordinato le indagini.

Il provvedimento riguarda 11 persone, di cui 2 sottoposte alla custodia cautelare in carcere e 9 agli arresti domiciliari, ritenute responsabili, a vario titolo, di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati di scavi illeciti, deturpamento di siti archeologici, furto e ricettazione di beni archeologici provenienti da scavi clandestini, nonché ricettazione di beni culturali.

Gli arrestati

In carcere

Ai domiciliari

Scavi clandestini e ricettazione di beni archeologici rubati, 56 misure cautelari tra Catanzaro e Catania

L’associazione è risultata aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1 del Codice Penale, poiché i delitti venivano commessi anche allo scopo di agevolare la cosca di ’ndrangheta denominata “Arena”, che in tal modo consolidava il controllo del territorio nel comune di Isola di Capo Rizzuto (KR) e nelle aree limitrofe, beneficiando altresì dei proventi delle attività illecite. Contestualmente sono state eseguite 12 perquisizioni locali.

L’operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi Provinciali dei Carabinieri di Crotone, Catania e Messina, con il supporto dello Squadrone Eliportato “Cacciatori di Calabria” e dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia. Oltre 80 militari dell’Arma sono stati impiegati nei territori delle regioni Calabria e Sicilia.

Le indagini

La misura cautelare è stata emessa al termine di un’articolata attività investigativa sviluppata dai Carabinieri del Nucleo Tpc di Cosenza, avviata nell’ottobre 2022 e conclusa nell’ottobre 2024. Le indagini hanno preso origine da accertamenti di iniziativa dei militari dello speciale reparto dell’Arma, che avevano riscontrato la presenza di numerosi scavi clandestini all’interno di diversi siti archeologici.

Le successive investigazioni hanno consentito di accertare condotte illecite connesse al traffico di reperti archeologici provenienti da scavi clandestini effettuati nei parchi archeologici nazionali di Scolacium (Roccelletta di Borgia – CZ), dell’antica Kaulon (Monasterace – RC) e di Capo Colonna (Crotone), oltre che in altre aree private della provincia di Crotone.

È stato accertato che tali aree sono state oggetto, per tutta la durata dell’indagine, di sistematici saccheggi ad opera di una squadra di “tombaroli” che, attraverso un’organizzata e articolata ripartizione di competenze, alimentava il mercato clandestino di materiale archeologico. L’attività investigativa ha evidenziato l’esistenza di una complessa organizzazione, articolata tra tombaroli, intermediari e ricettatori, ben radicata in alcuni territori del crotonese.

Le fasi delle attività illecite sono state acclarate e documentate mediante intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, riprese video e sequestri eseguiti in corso d’opera. Il gruppo criminale operava secondo modalità tipiche di associazioni ben strutturate, composto da soggetti spregiudicati e con esperienza nel settore.

I vertici dell’organizzazione dirigevano e controllavano l’attività dei sodali, pianificavano le spedizioni e individuavano i luoghi di interesse grazie a competenze specifiche acquisite nel tempo. Venivano inoltre adottate modalità operative volte a scongiurare o ridurre il rischio di controlli da parte delle forze dell’ordine, anche mediante l’utilizzo di canali di comunicazione di difficile intercettazione.

I sodali erano consapevoli della necessità di limitare le conversazioni telefoniche, ricorrendo a dialoghi brevi e all’uso di termini convenzionali per mascherare i riferimenti ai reperti archeologici, quali “finocchi”, “caccia”, “cornici”, “caffè”, “asparagi” o “motosega”, termine con cui veniva abitualmente indicato il metal detector.

Al vertice del gruppo criminale figurano due persone residenti nella provincia di Crotone, promotori dell’associazione, appassionati di archeologia e conoscitori dei luoghi in cui reperire materiale da immettere illecitamente nel mercato clandestino. I due avrebbero organizzato le attività del gruppo, programmando i singoli delitti e partecipandovi direttamente.

Le risultanze investigative hanno evidenziato come una forma parallela di criminalità, anche se organizzata in modo basilare, possa operare nei territori in cui la cosca esercita il proprio predominio, con il tacito consenso della “locale”, e come i profitti illeciti finiscano inevitabilmente per alimentare anche l’organizzazione ’ndranghetistica di riferimento.

Nel corso dell’indagine è emersa inoltre l’originalità dei reati fine – furto e ricettazione di reperti archeologici – rispetto al contesto mafioso tradizionale. Si tratta di un’attività particolarmente redditizia, favorita dalla presenza di numerosi siti archeologici, talvolta poco esplorati da scavi ufficiali, circostanza che ha attratto l’interesse della criminalità organizzata.

In tale contesto, la cosca ha fatto ricorso a competenze esterne, reclutando appassionati e conoscitori del settore, indispensabili per operare in un ambito specialistico altrimenti precluso. Sono stati individuati tutti gli elementi dell’aggravante mafiosa, in quanto le condotte risultavano funzionali agli interessi dell’associazione, anche in ragione dell’infungibilità delle prestazioni fornite dagli indagati.

Con l’operazione odierna, in provincia di Crotone, sono state eseguite 9 ordinanze di custodia cautelare (2 in carcere e 7 agli arresti domiciliari) e 10 perquisizioni locali; nelle province di Catania e Messina sono state invece eseguite 2 misure agli arresti domiciliari e 2 perquisizioni.

Le indagini si sono avvalse della collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro e Crotone e del contributo della Direzione Regionale Musei Calabria.

L’operazione rappresenta un significativo segnale di risposta dello Stato al fenomeno del traffico illecito di reperti archeologici, che colpisce il patrimonio culturale nazionale e internazionale, in un territorio particolarmente ricco di vestigia storiche e oggetto di continue razzie destinate ad alimentare il mercato clandestino.

Il procedimento si trova attualmente nella fase delle indagini preliminari; per tutti gli indagati vale pertanto il principio costituzionale della presunzione di innocenza fino a sentenza di condanna definitiva.