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11/08/2025 ore 13.53
Cronaca

Sandokan tra le erbacce: a Lamezia “il set opera d’arte unica” costato alla Calabria mezzo milione di euro è lasciato alle ortiche – FOTO

VIDEO | La scenografica della fiction Rai, pagata 560mila, un anno dopo l’ultimo ciak appare abbandonata, senza l’ombra di manutenzione. Le immagini realizzate sul posto mostrano per la prima volta lo stato attuale della location

di Alessia Principe

È rubricata come “opera d’arte unica”, nella famosa lista della spesa della Calabria Film Commission, visibile non dal sito madre – quello implementato con una spesa nel 2024 di 18mila euro – ma da quello della Banca Anticorruzione (Anac), dove vengono indicati gli appalti della pubblica amministrazione.

Un po’ Mompracem un po’ Hostel

Chi avesse il desiderio di ammirare da vicino questa opera, però, non dovrà cercarne tracce in un museo, ma viaggiando puntando la bussola verso Sud, alle latitudini della zona industriale di Lamezia Terme; da lì imboccare e percorrere la lunga e isolata strada che conduce ai capannoni della Fondazione Terina, e infine seguire le tracce dei cantieri aperti sui futuri Studios cinematografici, su cui arrancano un paio di camion tra gli spuntoni delle fondamenta di un progetto da quasi 22 milioni di euro.

Nello scacchiere piatto del panorama lametino, a una manciata di metri dai lavori, protetta da un canneto e circondata da uno sterrato di piante secche e spinose, occhieggia la scenografia costruita per il set di Sandokan, chiusa con cancelli arrugginiti e catene ossidate, che molto sarebbero piaciuti a Eli Roth per un altro capitolo di Hostel.

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Un’opera d’arte “pregevole”

Questa “opera d’arte unica” – suggestiva dicitura che spicca nel database dell’Anac - è costata un bel po’ di quattrini, 560mila euro per la precisione, ed è singolare che il suo acquisto abbia fatto più rumore degli scatti patinati di Can Yaman, il nerboruto neo Sandokan, protagonista della serie girata tra le sue mura (e che andrà in onda in autunno sulla Rai).

Il perché una scenografia sia stata rubricata in questo modo bizzarro, può ricondursi al fatto che pur essendo un appalto consistente (parliamo di più di mezzo milione di euro) l’unico modo per procedere senza passare da una gara aperta era richiamare l’articolo 57, comma 2, lett. b) del vecchio Codice Appalti (D.Lgs. 163/2006), che consente la procedura negoziata senza bando «quando, per ragioni tecniche o artistiche, il contratto possa essere affidato unicamente a un operatore economico determinato».

Un’opera d’arte unica, poi, non ha un listino o un prezzo di riferimento di mercato e questo consente più margine nella determinazione del prezzo senza doverlo rapportare a costi standard di costruzione o materiali (una scenografia in calcestruzzo con sistemi di drenaggio, complessità strutturali ha un costo, una realizzata con facciate scenografiche per esterni, in legno e pannelli, senza impianti permanenti né protezioni industriali ne ha un altro, ovviamente).

Insomma è una dicitura, in soldoni, che permette di agire in piena libertà e senza badare a spese ed è stata usata anche per l’acquisto di otto sedie di lusso della serie Dumba (12mila euro in tutto) firmate dal designer Antonio Aricò.

Tornando a Lamezia e a Sandokan, a guardarla oggi, a distanza di più anno dall’ultimo ciak, si fa fatica a pensare che quell’opera scenografica sia considerata qualcosa di così prezioso e unico. Gerry Scotti, in coda al servizio di Striscia la Notizia dedicato alla spesa sostenuta dalla Calabria Film Commission, qualche mese fa lesse in diretta tv una nota della Fondazione calabrese in cui si chiariva che non si trattava di un quadro o di una statua, ma di una «pregevole scenografia acquistata dalla regione Calabria».

Dunque non un semplice fondale usa e getta da dismettere a fine riprese, ma qualcosa destinato a durare, a essere valorizzato, magari anche visitato. Tuttavia la realtà racconta un’altra storia.

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L’opera abbandonata senza manutenzione

Circondata dal nulla della polverosa strada che si allunga in un pianoro quasi messicano, la struttura una volta forse “pregevole”, oggi appare come un totem nel deserto.

Il set esterno appare composto da pannellature verticali. La recinzione, bassa e deformata, presenta varchi di facile accesso; il piazzale, in terreno battuto, è invaso da infestanti e detriti solidi. Non risultano teli industriali a vista, coperture provvisorie o segnaletica se non un cartello “Divieto di accesso ai mezzi non autorizzati” completamente inghiottito dall’erba alta. Rispetto ad alcune immagini dal drone diffuse poco prima delle riprese, il piazzale antistante la struttura appare lasciato a sé stesso e alle erbacce che ne hanno preso possesso.

Rifiuti e sterpaglie

Balzano all’occhio, poco prima della staccionata di legno, un grosso sacco dell’immondizia e anche uno pneumatico, lasciati a cuocere sotto il sole. Nessuno di ronda, nessun avviso di videosorveglianza attiva, nessun allarme segnalato, solo un vecchio cancello chiuso da una catena che di primavere – a quanto sembra - ne ha viste tantissime.

C’è una telecamera che guarda in quella direzione, ma è collocata in un terreno adiacente, e non c’è alcun avviso che informa se si tratta di un’area effettivamente monitorata o meno. La bassa cancellata – che si scavalca facilmente - in un tratto è addirittura divelta, segno che qualcuno ha tentato di entrare e magari ci è anche riuscito. Non c’è altro, se non le palme che si intravedono oltre i pannelli di legno coperti con assi e chiodi.

Circumnavigando il quadrato di terra che per qualche settimana è diventato un set, ci si imbatte in una vegetazione ostile e sempre più fitta, che ha fagocitato quasi completamente le altre vie d’accesso.

Le scenografie permanenti

Secondo gli standard tecnici seguiti da studi cinematografici riconosciuti - come Cinecittà, Pinewood o i villaggi permanenti nei parchi tematici - una scenografia classificata come “permanente” deve essere costruita con materiali resistenti alle intemperie; disporre di sistemi di drenaggio per evitare smottamenti o ristagni; essere protetta da teli industriali o strutture di copertura; prevedere un piano di manutenzione ordinaria, documentato; essere accessibile in sicurezza al personale tecnico o, se destinata al pubblico, dotata di percorsi regolamentati e segnaletica.

Nel caso del set calabrese, dal sito della Calabria Film Commission non risulta pubblicato un piano di valorizzazione o manutenzione associato alla “scenografia Sandokan”, né tantomeno si notano protezioni che possano evitare il deterioramento dovuto a fattori climatici o all’usura.

Per capire quanto sia anomala la situazione, basta confrontarla con set permanenti come quello costruito per Gangs of New York a Cinecittà, oggi parzialmente conservato e visitabile, o con il villaggio western di Cinecittà World. Anche a Matera, alcune scenografie e percorsi realizzati per The Passion di Mel Gibson sono stati inseriti in itinerari turistici valorizzati nel tempo e tenuti con cura maniacale.

La location lametina, al contrario, è circondata da erbacce e detriti, segnale di scarsa o assente manutenzione. La scenografia “permanente”, anzi “l’opera d’arte unica”, pagata più di mezzo milione di euro, era stata acquistata per resistere al tempo e invece pare che il tempo la stia solo lentamente consumando.