Sistema Paoletti, i lavoratori sfruttati nei supermercati e «traditi» dal sindacalista “infedele”
Ex dipendenti indotti a firmare accordi coi quali rinunciavano alle loro legittime pretese in cambio di pochi spiccioli. L’amicizia tra Doria e l’imprenditore e la testimonianza dell’ex dipendente: «Ho scoperto che con quel verbale rinunciavo alla retribuzione di ferie non godute e straordinari non pagati»
«Doria ha tradito con evidenza la sua funzione, funzione di considerevole rilievo sociale».
Il Doria in questione, citato dal gup Mario Santoemma nelle motivazioni della sua sentenza, è Vito Doria, conciliatore sindacale della Uila (Unione italiana dei lavoratori agroalimentari) di Soverato. È stato condannato, in primo grado, per favoreggiamento a un anno e quattro mesi poiché avrebbe aiutato l’imprenditore dei supermercati Paolo Paoletti e altri suoi collaboratori a far sì che 29 dipendenti sottoscrivessero degli accordi transattivi “tombali” attraverso i quali rinunciavano al riconoscimento delle loro legittime pretese in cambio di pochi spiccioli. Accordi che andavano a tutto vantaggio di Paoletti.
La vicenda dei dipendenti sfruttati nel Catanzarese è lo spaccato di una realtà molto diffusa nel mondo del lavoro: retribuzioni che non corrispondono alle ore effettivamente svolte, ferie al lumicino, straordinari neanche lontanamente pagati, lo stato di bisogno che spinge ad essere fedeli e ad accettare tutto. Perché le alternative sono pari a zero.
In questi casi una spalla per i lavoratori dovrebbero essere i sindacati. Dovrebbero. In questa vicenda, secondo il giudice, non è stato così. Ma procediamo con ordine.
Conciliazioni per tutelare l’imprenditore
Dalle indagini della Finanza, coordinate dalla Procura di Catanzaro, è emerso che Paoletti «è apparso particolarmente accorto nella gestione dei contratti di lavoro in scadenza». Temendo vertenze sindacali o azioni giudiziali che portassero ex dipendenti a chiedere somme di denaro non percepite, era solito far sottoscrivere, preventivamente, ai propri dipendenti, accordi di conciliazione. Questi accordi di conciliazione facevano parte di quello che il giudice, in più occasioni, definisce il “sistema Paoletti”: «… il datore di lavoro prima nega ai dipendenti quanto loro dovuto e, dopo, li induce a sottoscrivere un accordo fittizio che impedisce loro di avanzare qualsivoglia pretesa economica».
Una firma “tombale” sui propri diritti
L’accordo è detto “tombale” perché è immediatamente efficace e non impugnabile. In questi casi la parte più debole, che va tutelata, è il lavoratore e per questa ragione la sottoscrizione dell’accordo tra datore di lavoro e dipendente deve avvenire in una in una sede “protetta”, come la sede di un sindacato «in quanto si presume che tale organismo dovrebbe tenere a cuore le sorti del lavoratore». Dovrebbe.
Dipendenti sfruttati nei supermercati del Catanzarese, condannato a sette anni l’imprenditore PaolettiPochi spiccioli
Ma cosa avveniva nella sede della Uila di Soverato? Paoletti – scrive il gup – «si avvaleva della figura di Vito Doria, dirigente sindacale» il quale presenziava alla sottoscrizione degli accordi tra Paoletti e gli ex lavoratori. Ma in questi casi i lavoratori non sarebbero stati tutelati. E questo è dimostrato, dice il giudice, dall’«irrisorietà della cifra corrisposta ai dipendenti a titolo transattivo (pari a 100 euro)» e da uno stretto rapporto amicale esistente tra l’imprenditore e il sindacalista.
«Non vi è la benché minima proporzionalità tra quanto spettante al dipendente e quanto concretamente riconosciutogli» è scritto in sentenza.
La testimonianza
Un esempio su tutti. Un ex dipendente ha raccontato alle fiamme gialle: «Nel 2023 mi recavo unitamente a Paolo Paoletti presso la sede sindacale di Soverato per firmare il cambio di assunzione dalla Food&More alla Paoletti s.p.a. e per ricevere il tfr conseguente alla fine del rapporto con la Food&More. All'interno del sindacato, ricordo che erano presenti anche una donna e un uomo presumibilmente dipendenti del sindacato. In questa sede firmavo un verbale di cui non ne capivo il contenuto e Paolo Paoletti non mi spiegava nulla. Solo recentemente, qualche giorno fa, ho scoperto che quel verbale rappresentava la mia rinuncia a quanto a me spettante, ad esempio rinunciavo alle ferie non fruite e alle ore di straordinario a me non retribuite».
Conciliazioni senza tutele
Questi accordi venivano stipulati in diverse occasioni: «una modifica del rapporto di lavoro, consistente nella sua risoluzione con o senza riassunzione, conversione da contratto a termine a contratto a tempo determinato, mutamento della società datoriale sempre facente capo a Paoletti».
Accordi “tombali”, dice il gup, che «hanno tutti palesemente lo scopo di blindare le società rispetto a possibili e legittime future pretese dei lavoratori». Pretese che, «visto le condizioni di sfruttamento», gli ex dipendenti, ormai liberi da condizionamenti e senza più timore del datore di lavoro, avrebbero potuto avanzare.
Una vera conciliazione dovrebbe essere fatta di dialogo e discussioni al fine di trovare un punto di incontro. In questo caso, invece, le conciliazioni «vedono tutti silenti ed i lavoratori soggetti alla firma senza spesso comprendere ciò che avevano sottoscritto».
L’iscrizione al sindacato pagata da Paoletti
Alla fine il cerchio della condotta «criminale» di Vito Doria si chiudeva «con l'invito alla iscrizione al sindacato anch’esso in modo silente con sottoscrizione richiesta al lavoratore senza che ne fosse edotto in alcun modo. E che tale sottoscrizione fosse oggetto di scambio reciproco con Paoletti e, come si vedrà, espressione di una sua partecipazione alla associazione criminale diretta dall'imprenditore si evince dalla circostanza anch’essa comprovata che le somme dell’iscrizione venivano del tutto irritualmente versate dal datore Paoletti e non dal lavoratore che se fosse stato richiesto anche di somme sarebbe di sicuro stato indotto a richiederne il titolo».