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20/12/2025 ore 10.19
Cronaca

Stipendi ridotti, ferie dimezzate e paura di perdere il posto: così si lavorava nei market del “sistema Paoletti” nel Catanzarese

Le motivazioni del verdetto che ha condannato l’imprenditore a 7 anni e 9 mesi fanno emergere condizioni degradanti accettate per bisogno nelle storie di tanti costretti a restrizioni e sacrifici. Le testimonianze dei dipendenti privati dei diritti: «Se fossi pagato per le ore fatte vivrei più serenamente»

di Alessia Truzzolillo

Retribuzioni scarne rispetto alle ore di lavoro. Solo due settimane di ferie all’anno rispetto alle quattro previste dal Contratto collettivo nazionale di lavoro. E tante altre restrizioni, tutte accettate per far fronte allo stato di bisogno, perché ci sono figli da mandare all’università, familiari con disabilità, mamme single. E c’è tanta rabbia perché «se fossi retribuita per le ore effettivamente fatte sicuramente potrei fare tante altre cose e aiutare la mia famiglia».

La sentenza

In 370 pagine di sentenza il gup di Catanzaro, Mario Santoemma, riporta le motivazioni che lo scorso 17 novembre lo hanno determinato a comminare cinque condanne e un’assoluzione, nell’ambito del rito abbreviato, nei confronti dell’imprenditore dei supermercati Paolo Paoletti (7 anni, 9 mesi e 10 giorni), della moglie Anna Valentino (4 anni, 11 mesi e 16 giorni), del dipendente Vittorio Fusto (2 anni e 10 mesi), della collaboratrice Tiziana Nisticò (3 anni, 2 mesi e 26 giorni) e del conciliatore sindacale Uila Vito Doria (un anno e 4 mesi). Assolto il cugino dell’imprenditore, Rosario Martinez Paoletti.
Il gup ha poi rigettato la richiesta dell’accusa di provvisionale per le parti civili e di confisca delle società Food & More srl e Paoletti spa e confermato il controllo giudiziario delle stesse.
Attualmente sono imputati nel processo con rito ordinario i collaboratori di Paoletti Antonio Citriniti, Paolo Giordano, Maria Teresa Panariello, Giorgio Rizzuto. L’accusa è quella di aver sfruttato decine di lavoratori nei supermercati distribuiti tra Montepaone, Soverato e Chiaravalle Centrale.

Dipendenti sfruttati nei supermercati del Catanzarese, condannato a sette anni l’imprenditore Paoletti

Gli indici dello sfruttamento

Il gup nota come «tutti i contratti, in fase di avvio sono precari a termine, termine non dettato da transitorie esigenze aziendali, ma dalla volontà del Paoletti di testare la fedeltà del lavoratore, la sua produttività, per come spesso dichiarato dallo stesso Paoletti, tanto che egli stesso per come risulta dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni dei lavoratori e dai documenti, promette stabilizzazioni e sviluppi retributivi per il futuro, miglioramenti che i lavoratori pagano a caro prezzo perché transitano da accordi transattivi indecorosi con la complicità degli altri imputati e financo di un sindacalista».
Lo sfruttamento, scrive il giudice, non riguarda «solo la grave insufficienza della retribuzione, ma la privazione per il lavoratore di altri suoi diritti intangibili, quali il consenso allo straordinario, la precarietà ingiustificata».
A questo si aggiungono le ferie negate «che nel corso del primo anno non possono essere mai godute e poi godute per metà nel periodo successivo per diktat del datore di lavoro. Spesso per come risulta dalle dichiarazioni dei lavoratori, tale abuso non viene da subito disvelato al lavoratore, che ne sarà notiziato nel corso del rapporto. Solo dal secondo anno di lavoro, quando in base alla precarietà il lavoratore continuerà a lavorare ad esso vengono concesse (ahimè che brutto termine per un diritto) due settimane di ferie sulle 4 spettanti».

Le buste paga

Nel corso delle indagini sono stati ascoltati i lavoratori dei supermercati. Un dipendente ha raccontato di aver cominciato a lavorare col padre di Paolo Paoletti e «da quando ho iniziato a lavorare sotto la proprietà aziendale di Paoletti Paolo lo stesso mi ha comunicato che il mio stipendio mensile reale sarebbe stato di 1.130 euro a fronte di un orario lavorativo di 40 ore settimanali». In più, per un certo periodo di tempo, i pagamenti venivano effettuati in contanti: 1.130 euro rispetto a una busta paga di 1.700 euro. Ma dal momento in cui i pagamenti dovevano essere fatti con bonifico bancario o assegno le cose cambiarono. Paoletti propose due soluzioni: o di restituire in contanti la parte eccedente l'importo dello stipendio reale oppure di fare un nuovo contratto «abbassando il numero delle ore lavorate per far sì che l'importo della busta paga fosse in linea con l'importo del mio stipendio reale pari a 1.130 euro». Le ore lavorative, in realtà restavano sempre quelle. Il dipendente racconta che lui scelse la seconda opzione perché «mi dava enormemente fastidio restituire soldi in contanti con una busta paga superiore che tra l'altro non mi avrebbe permesso di usufruire degli incentivi statali». E aggiunge che Paoletti lo aveva avvisato che «avrei avuto diritto a sole due settimane di ferie al posto delle quattro previste».
Ma perché accettare queste condizioni di lavoro?
Perché di mezzo ci sono due figli, di cui uno va all’università fuori e poi «mia moglie non lavora e io devo sostenere tutte le spese per la mia famiglia».

Lo stato di bisogno

Lo stato di bisogno costringe ad accettare ma le difficoltà non mancano: «Faccio i salti mortali per arrivare a fine mese anche perché devo sostenere le spese universitarie di mio figlio. Per poterlo sostenere ho richiesto un prestito in banca. La mia vita è fatta solo di sacrifici ma faccio di tutto per la mia famiglia. La mia amarezza più grande è quella che se avessi percepito quanto effettivamente spettante avrei potuto offrire condizioni più dignitose alla mia famiglia».
Le domande sono standard e ce n’è una che si ripete: «La sua retribuzione è sufficiente a vivere serenamente e dignitosamente?»
È in queste risposte che si celano le storie di tante famiglie e tanta rabbia per una vita fatta solo di lavoro e sacrifici.
«Il mio rammarico è che se fossi retribuito per le ore effettivamente svolte che ripeto si aggirano a circa 60 ore settimanali, avrei potuto vivere più serenamente», dice un lavoratore.
Un altro risponde: «Non era assolutamente sufficiente anche perché viaggiavo quotidianamente con la mia autovettura da Catanzaro Lido a Montepaone per 2 volte al giorno e quindi parte del già poco stipendio dovevo spenderlo per il carburante».

Ci sono donne sole che devono mantenere un figlio e il cui stipendio se ne va in un lampo tra affitto, costi di gestione della casa, e per garantire il sostentamento del piccolo nucleo familiare.

Il gup scrive che all’interno del “sistema Paoletti” «sono pienamente consapevoli dello stato di bisogno dei lavoratori, sia nel momento in cui chiedono di essere assunti, in quanto inoccupati o sottooccupati, ma anche, allorché continuano a lavorare nonostante la reiterata violazione dei loro diritti fondamentali, poiché molto difficile è la mobilità lavorativa in questa parte del territorio nazionale e perché i lavoratori stessi spesso richiedono senza rivendicare condizioni che consentano loro migliori condizioni di vita, quelle migliori condizioni che norma inderogabili di derivazione costituzionale, mirano a garantire».