Ucciso dal padre a Lamezia, il vescovo ai funerali di Bruno Di Cello: «Non siamo qui per giudicare»
Nell’omelia monsignor Parisi ha voluto lanciare un messaggio per tutta la comunità: «Evitiamo che le nostre menti siano spietate nei confronti degli altri». Intanto si è deciso che verrà valutata la capacità di intendere e volere dell’indagato al momento dell’omicidio
Si è tenuta ieri l’udienza per l’incidente probatorio relativo al procedimento sull’omicidio di Bruno Di Cello, 36 anni, avvenuto il due maggio per mano del padre Francesco, 64 anni, reo confesso.
Ne ha fatto richiesta la Procura di Lamezia Terme e il gip Francesco De Nino l’ha accolta. È stato nominato un luminare della psichiatria il professore Ferracuti affinché valuti la capacità di intendere e di volere di Francesco Di Cello al momento del fatto, nonché quella di stare coscientemente in giudizio e la relativa pericolosità.
Dal canto loro, i difensori dell’indagato, gli avvocati Enzo Andricciola e Giuseppe Spinelli, hanno nominato un proprio consulente di parte il dottor Gregorio Cerminara. L’udienza è stata fissata per il prossimo 22 luglio per sentire il professore Ferracuti il quale per il 15 luglio avrà già dovuto depositare la propria perizia.
Una vicenda drammatica quella che ha investito la famiglia Di Cello. Un episodio che ha scosso l’intera città di Lamezia e ha spinto il vescovo Serafino Parisi a lasciare un messaggio, non solo alla famiglia, ma a tutta la comunità. Il presule, infatti, lo scorso otto maggio ha voluto celebrare i funerali del ragazzo.

Un messaggio che spinge ad allontanare la cultura del pregiudizio, evitare di avere «menti spietate nei confronti degli altri» ma semmai mettersi nei panni degli altri e cercare di avere «lo stesso riguardo nei confronti della tragedia che noi immaginiamo possa esserci per la nostra vita». Un colpo di pistola al volto, così ha avuto termine l’ennesima lite e così drammaticamente è stato chiuso il capitolo di un contesto di disperazione familiare che andava avanti da oltre un decennio.
Richieste continue di denaro alla famiglia, denunce sfociate in una condanna per estorsione nei confronti del giovane, il demone della ludopatia, e problemi psichici sono sfociati in tragedia.
L’omelia del vescovo
Ma nella chiesa del Carmine, nel quartiere di Sambiase, monsignor Parisi lo ha detto senza mezzi termini: «Ci troviamo di fronte a una grande tragedia e le tragedie sono ancora più drammatiche quando sono maturate all’interno di una stessa famiglia» e, sopra ogni altra cosa, «non siamo qui per giudicare».
«Siamo venuti qui in chiesa – ha esordito il vescovo – in questo momento per celebrare la santa messa e per lasciarci consolare dalla sola persona che può consolarci e che è il Signore Gesù», il solo che «conosce le nostre fragilità, conosce la difficoltà di vivere, conosce la drammaticità della scelta». La stessa fragilità dell’esistenza incontrata sul proprio cammino da San Paolo che da persecutore dei cristiani, folgorato sulla via di Damasco, divenne il più grande dei missionari. E, dunque, l’invito del vescovo è quello evitare che le nostre menti siano «spietate nei confronti degli altri», evitare di condannare, giudicare e dare spiegazioni ma cercare di vestire i panni degli altri perché «anche noi abbiamo bisogno di essere perdonati, di essere accarezzati dalla tenerezza di Dio e di essere accolti» e «avere davvero lo stesso riguardo nei confronti della tragedia degli altri che noi immaginiamo possa esserci per la nostra vita». Solo questa è la strada che conduce alla «salvezza». Un messaggio che scende consolatorio come una mano sul capo, quello di monsignor Serafino Parisi, per la famiglia che resta e che soffre, per l’anima di chi non c’è più e per un’intera comunità.