Usura a Lamezia, l’autodifesa di Furci: «La mia famiglia non è mafiosa, ai tabaccai prestai 90mila euro e chi li ha rivisti...»
La testimonianza del maresciallo della finanza Margiotta sull’imputato accusato di essere legato alle cosche: «Gli trovammo in casa 165mila euro impacchettati. Strano per uno che non ha mai lavorato». La risposta: «Siamo persone perbene, potevamo sederci ai tavoli buoni»
«La famiglia Furci, famiglia conosciuta a Lamezia Terme, non appartiene a nessuna famiglia mafiosa e non apparterrà mai a nessuna famiglia mafiosa, perché noi abbiamo bisogno della legge, abbiamo tanto patrimonio per tutelarci, la legge ci deve tutelare, noi non siamo contro la legge».
Nel corso della prima udienza a suo carico, nell’ambito di un processo che lo vede accusato di usura aggravata dal metodo mafioso ai danni di un tabaccaio di Lamezia Terme, Carmelo Furci si agita nel suo banco, fa gesti, protesta. Il presidente del collegio del Tribunale di Lamezia, Angelina Silvestri, è costretta a intervenire minacciando di farlo allontanare dall’aula.
L’accusa di essere vicino alla cosca Greco
Ma perché si agita Carmelo Furci?
Il teste sentito nel corso della prima udienza, il maresciallo Vito Margiotta, comandante del nucleo operativo della Guardia di finanza di Lamezia Terme, sta rispondendo alle domande del pm della Dda Romano Gallo.
Ha appena indicato Furci «quale soggetto continuo alla criminalità organizzata». Tra gli elementi che riporta il pubblico ufficiale vi è il ritrovamento di gioielli trovati nell’abitazione dell’imputato al momento del suo arresto, nel 2019, «sui quali era indicato il nome delle persone che evidentemente l’avevano omaggiato e su una c’era il nome Greco e sull’altra Gagliardi». Dettaglio importante: secondo l’accusa, Furci avrebbe commesso usura «avvalendosi della forza intimidatrice e della condizione di assoggettamento e di omertà derivanti dal vincolo associativo…», è scritto nel capo di imputazione. In particolare Furci avrebbe «agevolato la cosca di ‘ndrangheta denominata “gruppo Greco”, nel quadro di una più ampia strategia criminale volta ad espandere il dominio sul territorio di competenza…».
La condanna e le nuove accuse
Prima di proseguire è necessaria una premessa: a febbraio 2024 Furci ha patteggiato in appello una condanna a cinque anni e quattro mesi di reclusione e 8000 euro di multa per usura ai danni di una coppia di tabaccai (marito e moglie), estorsione ed armi. In questo caso non pesavano sulle accuse le aggravanti mafiose. Nel 2019, quando venne arrestato, i militari trovarono un vero e proprio arsenale, costituito da sette pistole, due revolver e cinque semiautomatiche, tutte funzionanti, oltre a dieci caricatori e 645 munizioni di vario calibro, oltre sette quintali di artifizi pirotecnici di varia categoria, e un ordigno esplosivo costruito artigianalmente del peso di circa ottocento grammi di micidiale potenzialità lesiva. Nella stessa circostanza le fiamme gialle rinvenirono anche 165mila euro in contanti, suddivisi in 31 “mazzette” confezionate “sottovuoto”, nascoste nell’intercapedine di un mobile. Ma le indagini a carico di Carmelo Furci non si sono fermate. Sono andate avanti e questa volta a coordinarle è stata la Dda di Catanzaro, poiché si ritiene che l’uomo abbia commesso usura avvalendosi del metodo mafioso.
«Se muoio io mi raccomando ai figli»
Inevitabilmente, anche nel corso della prima udienza di questo nuovo processo si è parlato del procedimento precedente concluso in appello con un concordato a cinque anni e quattro mesi. Il maresciallo Margiotta riporta alcune conversazioni captate dalle prime vittime, nel corso delle quali la moglie esprimeva grande preoccupazione per la propria incolumità e raccomanda a un’amica: «… se muoio io mi raccomando ai figli, perché io sono una che…». L’amica la tranquillizza: «Non uccidono le donne, non uccidono le donne, se la prendono con tuo marito, ricordati che i bambini e le donne non li toccano». La domanda che le due si pongono è: «Chissà chi c’è dietro di lui».
Due acquirenti per far vendere l’attività
Secondo la ricostruzione fornita dal maresciallo Margiotta, l’origine del rapporto usurario è iniziato nel 2007 e solo l'arresto di Furci, avvenuto il tredici novembre 2019, ha consentito l'interruzione di tale vicenda. Proprio in quel periodo Carmelo Furci stava costringendo i commercianti a vendere la loro attività per poter rientrare del capitale loro prestato a usura (un tasso di oltre il 120% annuo) e si era adoperato anche a trovare due acquirenti.
I controlli patrimoniali su Furci
Il pm Gallo chiede se Furci svolgesse qualche lavoro.
«No - dice il finanziere –, Furci non svolgeva alcun lavoro, aveva redditi in base ai quali avrebbe dovuto vivere in completo stato di indigenza, tra l’altro il denaro contante che qui abbiamo trovato a casa, 165mila euro impacchettati e confezionati sottovuoto, non erano sicuramente compatibili con la sua figura di nullatenente e nulla facente tra l’altro, perché non ci risulta che abbia mai lavorato». Su questi punto la Finanza, oltre a eseguire controlli all’anagrafe tributaria ha fatto indagini patrimoniali nei 15 anni precedenti al 2019. E sul patrimonio di famiglia, indiviso: «… c’è una situazione fallimentare in corso», i beni «non sono in intestati a lui, ne ha uso, però non sono intestati a lui».
Il prestito da 90mila euro
Tra le altre cose Furci aveva fatto un prestito alle vittime di 90mila euro perché queste avevano difficoltà a pagare Lottomatica e rischiavano che gli togliessero le autorizzazioni ad esercitare la ricevitoria. Nel corso delle indagini, le fiamme gialle hanno eseguito perquisizioni anche in casa delle vittime e hanno trovato un file con dei calcoli contabili denominato “progetto cravatta”.
Il primo arresto con Roberto Greco
«Noi la prima volta che arrestammo Furci è stato nel ‘96 o ‘97 sempre per usura un in concorso con Sergio Roberto Greco ed Enzo Di Spena», dice infine il maresciallo al quale l’avvocato della difesa, Antonio Larussa chiede se Sergio Roberto Greco abbia mai riportato condanne definitive. Un dato che l’ufficiale non ricorda.
«Mio padre poteva sedersi ai tavoli buoni»
Al termine dell’udienza, impaziente, prende la parola Carmelo Furci per esternare dichiarazioni spontanee.
Furci, oltre a difendere l’onorabilità della propria famiglia dalle accuse di mafia – «Tutta la famiglia mia tutte persone perbene, mio padre poteva sedersi ai tavoli buoni, delle persone perbene, perché c’è pure gente a Lamezia che magari ha fatto soldi, che l’hanno fatto in modo illecito, illegale e non possono sedersi ai tavoli delle persone che hanno una mentalità pulita, onesta» – dice che lui dava al tabaccaio «25mila euro ogni lunedì per fare il versamento delle sigarette, senza nulla in cambio!» e questo può essere verificato sul suo telefono dove «ci deve essere l’importo che gli davo e l’importo che lui mi dava a fine settimana, poi ogni lunedì gli tornavo a dare di nuovo questi 25 mila euro».
«Si è giocata 90mila euro in due ore»
E per quanto riguarda i 90mila euro per Lottomatica, Furci asserisce che la tabaccaia «si è giocata 90 mila euro al dieci e lotto in due ore, andate a verificare! Perché di quello che dico si può verificare, gli ho dato i 90mila euro che non mi ha mai più ridato, non mi ha mai dato interessi per coprire il monopolio, perché sennò il monopolio avrebbe chiuso il tabacchino, 90 mila euro contanti! 90 mila euro contanti gli ho dato».
Il patrimonio indiviso
E per quanto riguarda il suo essere un nullatenente e disoccupato Furci afferma che lui un patrimonio lo aveva: il patrimonio di famiglia che era indiviso: «Perché è tutto di tutti». La prossima udienza è prevista per febbraio per sentire le persone offese.