Aspettando “I pagliacci” di Leoncavallo, Chiara Giordano: «Il Teatro Rendano una casa della meraviglia»
La direttrice artistica del teatro cosentino svela la stagione lirica e il nuovo allestimento dell’opera del compositore napoletano, raccontando la sua visione del teatro: «La sfida più ardua? Trasferire la mia idea di direzione “di servizio”»
Chiara Giordano, napoletana, unisce una solida formazione umanistica a un percorso musicale di eccellenza. Pianista, project e creative manager, si è formata presso il Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, l’Internationale Akademie Mozarteum di Salisburgo e l’Università Bocconi di Milano, costruendo una carriera internazionale in contesti culturali di massimo prestigio.
Ha firmato la direzione artistica di numerosi progetti complessi e, in Calabria, guida da venticinque anni Armonie d’Arte Festival, trasformandolo in un luogo di incontro tra le più alte espressioni della scena artistica mondiale. All'inizio del 2025 è stata nominata direttrice artistica del Teatro di tradizione Alfonso Rendano.
Dopo aver visto tutti gli spettacoli in programma nella stagione del teatro Rendano ed averne constatato il livello estremamente alto, l'ho raggiunta per una chiacchierata.
Nel suo itinerario umano e intellettuale, quali tappe formative, maestri o snodi biografici riconosce come decisivi nell’orientarla verso l’ambito della direzione artistica?
«Ciascuno di noi è un'alchimia in cui ci sono elementi chiari e potenti, ma anche contrappunti discreti o velati che agiscono nel profondo e con continuità. Ecco direi che la mia matrice principale è un famiglia autenticamente artistica, cioè creativa, con un padre scienziato e una madre pittrice, che mi hanno insegnato il valore etico della bellezza e la funzione salvifica dell'arte, e più ampiamente della cultura. E poi la fortuna di aver avuto accesso ad una formazione umanistica accurata e completa nel senso più compiuto, di studi filosofici ( con Maestri di straordinario e riconosciuto valore) e soprattutto di studi musicali, pianistici, alla scuola blasonatissima del M° Vincenzo Vitale e quindi al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. È stata una vocazione, una chiamata. Musicalmente una carriera direi "non combattiva" in termini di tempistiche e modalità, ma che ha avuto la gioia di vivere e agire negli ambienti musicali più qualificati del mondo come - ad esempio tra vario altro - suonando da solista con orchestre come la Royal Philharmonic Orchestra, la English Chamber Orchestra, o avere l'apprezzamento e approvazione personale a suonare insieme da parte di una vera leggenda della musica come Zubin Mehta. Ma la mia permanenza in Calabria, generata da un legame sentimentale, ha chiesto però il suo senso anche culturale e sociale; infatti quando arrivai qui per la prima volta ormai 30 anni fa, mi resi conto che a parte qualche esempio luminoso proprio come il Rendano di quegli anni, una sostanziale marginalità culturale sostanziava il ruolo della Calabria nel palcoscenico artistico spettacolistico italiano, e che tanti luoghi eccellenti non erano conosciuti nemmeno dagli stessi calabresi; così decisi di occuparmene, anche in termini di management. Iniziai a creare eventi culturali e progetti culturali, alcuni dei quali con la mia direzione, e non devo forse citare Armonie d'Arte Festival che, oggettivamente e senza rischi autoreferenziali, da 25 anni ha rappresentato la realtà festivaliera di maggior respiro e valore internazionale in un luogo di enorme fascino e di eccellenza dell'intero patrimonio archeologico meridionale ovvero il Parco archeologico nazionale di Scolacium, ricevendo straordinari consensi dagli artisti stessi, dai critici, dal pubblico e dai Media regionali, nazionali, internazionali, dai magazine giapponesi al Washington Post, tanto per citarne alcuni».
Quali esperienze pregresse, tra incarichi professionali e progettualità culturali, ritiene abbiano maggiormente affinato il suo sguardo e preparato il terreno per l’assunzione della responsabilità al vertice del Teatro Rendano?
«Una lunga attività di direzione artistica nonchè di project e/o creative manager, in Calabria e fuori regione, in dialogo con artisti e contesti tra i più prestigiosi del contesto globale, mi ha naturalmente preparato ad esperienze sempre più complesse in cui sono necessarie attitudini e competenze trasversali, e non ultimo un portafoglio di contatti che generi opportunità e relazioni feconde. Non di meno aver navigato nelle difficoltà di programmazione, soprattutto per le risorse sempre contenute in relazione al valore dei progetti che pure sarebbero possibili e spesso necessari, oggi favorisce in me l'elemento della resilienza e del problem solving, che rappresentano uno strumento formidabile. Infine, ciò che più ha alimentato la mia inclinazione al rapporto con il pubblico - indispensabile per una direzione artistica - è la consuetudine, sin da piccola, alla performance pubblica, alle luci della ribalta, ai microfoni e così via, unite ad un'idealità forte sul ruolo dell'arte che, se da una parte mi ha tolto "la pervicacia carrieristica" e correlate economie, dall'altra mi ha consentito, ancora oggi, di godere della bellezza artistica, del valore culturale, e di aspirare ad avere un ruolo attivo nel favorirla con tutto l'impegno: forte, libero, entusiastico. Peraltro, ma lo dico molto sommessamente, perchè è qualcosa capitato un po' per caso, ho realizzato in prima persona la regia di varie opere - La Traviata, Pagliacci, e nuove opere con attori di rilievo della scena italiana - e con buon successo».
Assumendo la guida artistica del Teatro di Tradizione Alfonso Rendano, quale visione originaria aveva delineato e in che modo tale orizzonte progettuale si è trasformato o ampliato nel corso del suo mandato?
«Questa domanda mi fa molto piacere, perchè mi dà l'occasione di specificare bene il mio ruolo, che spesso sento dire legato alla sola programmazione dell'opera lirica, dal momento che ci sono soggetti privati che, a vario titolo, anche partecipati dallo stesso comune, sviluppano la prosa e la concertistica. In realtà così nasceva, ma sin dall'inizio, e anche nella forma contrattuale, considerando i fasti del Rendano di qualche decennio fa e le sue potenzialità, ho rappresentato al Sindaco - che ha accolto e condiviso anche pubblicamente in sede di conferenza stampa - quanto il teatro abbia bisogno di un piano di sviluppo che, partendo appunto dalla lirica come vocazione del Rendano e molto amata in città, apra ad una programmazione artistica e strategica ben più larga, fatta anche di danza, di performance contemporanea (teatrale, musical e coreutica), di progetti speciali trasversali, di attività collaterali integrative e sul territorio, di produzioni proprie, di nuova visione e narrazione, di una comunicazione che ponga il teatro come un polo culturale a 360° o, come ho pensato di definirlo: un "catalizzatore espanso", cioè una realtà in grado di catalizzare attenzione ed espandere valore per un interesse collettivo che crei comunità sociale locale e comunità culturale globale. E in questo senso sto lavorando. Certo è necessario tempo, bisogna essere presenti e stimolanti tutto l'anno, aprire con umiltà e dedizione all'interazione attiva con l'associazionismo, con le altre strutture culturali e così via, ripeto in modo continuativo, anche per attrarre investitori o mecenati; siamo solo all'inizio ma mi sembra che gli auspici, per ora, guardando anche alla punta più alta finora espressa - la Carmen di Bizet, che sento già considerare, con mia enorme gratitudine per quest'attenzione, un'operazione che passerà alla storia delle attività culturali della città e della regione - sono dei migliori, e dunque spero di essere all'altezza di questo esordio».
Nella composizione di una stagione teatrale, quali criteri estetici, culturali e strategici presiedono al delicato equilibrio tra fedeltà al repertorio, tensione innovativa e dialogo vivo con la comunità cittadina e il territorio? E In che modo il teatro, sotto la sua direzione, tenta di intercettare pubblici nuovi e sensibilità contemporanee senza recidere – anzi, rinnovando – il legame con la tradizione lirica da cui discende la sua identità?
«Il tempo contemporaneo, il contesto globale, ma anche le specifiche contingenze italiane e territoriali, richiedono estrema duttilità per bilanciare offerta e sostenibilità. Questo significa che un Teatro, soprattutto se è pubblico o maggioranza di soci pubblici o a prioritario capitale pubblico, è chiamato ad attuare una politica in grado di tutelare il diritto alla cultura, anche quella che purtroppo, se non è mainstream (meglio si direbbe ad alto indice commerciale), viene definita di nicchia, quando invece rappresenta, o dovrebbe rappresentare, un grande patrimonio per tutti. Qui il discorso si farebbe lungo, implicherebbe questioni legate alla formazione, e dunque taglio corto; ma resta la questione che un Teatro, per come predetto, non può rincorrere il botteghino come elemento dirimente. Nel contempo è indispensabile non generare debito, e allora ecco che si ritorna all'alchimia delicatissima che ho richiamato sopra a proposito di programmazione integrata, di azioni di educational e in grado di coinvolgere un target trasversale, motivarlo e renderlo protagonista. Per esempio abbiamo attivato, con più o meno successo, una sezione siglata Rendano Speciale (e permanente) che prevede talk a tema, una formazione sulla programmazione, visite di backstage, stage e workshop in collaborazione con enti terzi, degustazioni, e tutta una seria di attività sul principio dinamico dell'experinces & explorer e quello ormai indispensabile del networking. Naturalmente il mondo della lirica resta il cuore della mia programmazione che per il triennio 2025 - 2027, in merito ai contenuti, ha strutturato un macrotema e 3 declinazioni annuali: la relazione femminile - maschile. Nel 2025 con focus dalla prospettiva femminile (Carmen e Nedda in Pagliacci sono 2 donne che focalizzano appunto il tema del femminicidio, ma anche i balletti di Bolero e Giselle ponevano al centro la figura femminile come soggetto di sofferenza o di oggetto di desiderio); nel 2026 con focus sulle dinamiche sociali, e nel 2027 con focus dalla prospettiva maschile. In realtà ho già programmato anche i titoli specifici ma pensiamo, d'accordo con il Comune, di svelarli anno per anno».
Il Teatro Rendano nella stagione lirica di quest'anno penso si sia superata. Io da critico musicale per conto di LaC ho seguito tutti gli spettacoli previsti. Adesso attendiamo l'attesissima "Pagliacci" di Leoncavallo. Sino ad ora, la sfida più ardua e complessa che ha dovuto affrontare al Teatro Rendano qual è stata?
«Ringrazio innanzitutto la testata per l'attenzione e per il consenso. Come dicevo sopra, la Comunicazione e il rapporto con i Media oggi è più che mai fondamentale per qualunque azione che voglia un esito positivo e incidente. E in premessa desidero anche sottolineare che ho trovato un ambiente complessivamente molto accogliente, e con punte veramente condividenti! Peraltro, le produzioni liriche si avvalgono dell'Orchestra Sinfonica Brutia, che non solo è di ottima qualità e sta crescendo molto, ma con la quale, mi sembra, sto lavorando con bella intesa e fluida relazione, evidentemente condividendo l'obiettivo di uno standard alto e competitivo. Non di meno credo che, paradossalmente, la sfida più ardua resti quella di trasferire la mia idea di direzione artista come funzione realmente "di servizio", e non di mera programmazione e conduzione di un cartellone; un'idea di direzione artistica che si renda anima responsabile e mano operativa per garantire e produrre una progettualità che ha come mission finale quella di un'offerta artistica veramente alta e competitiva, di potenziato engagement di pubblico, di rinnovata visibilità mediatica, di più ampio portafoglio di risorse economiche e di relazioni, di più consolidato rapporto con altri enti di settore, riportando così il Teatro Rendano a pieno titolo nei migliori circuiti artisti culturali italiani e posizionamento nel mercato globale».
Vi è un progetto, già realizzato o ancora in gestazione, che a suo avviso cristallizza in modo emblematico la cifra stilistica e la visione culturale che intende imprimere al Rendano?
«Penso alla mia proposta progettuale come unitaria nel corso del triennio e non una giustapposizione di eventi spettacolistici e attività varie, e dunque è l'idea stessa di un progetto triennale con le caratteristiche evidenziate nelle precedenti risposte a conferire la cifra della mia visione; anche se resto convinta che nulla debba mai essere sempre fissato e la flessibilità crei le migliori opportunità. Tuttavia direi, e lo ripeto, che è nella definizione di "catalizzatore espanso" che si condensa il mio orizzonte culturale, e nella definizione del claim anche comunicativo che ho ideato personalmente - Teatro Rendano/Casa della meraviglia - che si sostanzia la cifra artistica, emozionale e stilistica: in un modo sempre più invadente e invasivo, nel mondo delle disarmonie dilaganti, delle antiche e nuove barbarie, il valore dello stupore legato alla bellezza assume la funzione di antidoto, ed è il tepore più profondo e confortevole l'esserci di una "casa" che ti apra alla meraviglia».
Tutti stanno attendendo "Pagliacci" di Leoncavallo, anche noi, che saremo presenti in sala. Perché quest'opera è importante e perché il pubblico dovrebbe venire a vederla?
«È un'opera che ci appartiene profondamente in termini territoriali (la storia, per lo stesso Leoncavallo, è vera, di poco cambiata, ed ambientata a Montalto Uffugo); d'altra parte, è una delle opere più note ed amate dell'intero repertorio operistico italiano e mi sembra che conoscerla dal vivo rappresenti una buona tappa culturale per tutti. Infine, ma non ultimo, il tema - oltre alla coerenza con quello triennale generale che caratterizza la mia progettazione generale - rappresenta una contemporaneità fortissima: il femminicidio è un fenomeno che va affrontato in ogni sede, anche quella artistica. E Nedda muore per mano di Pagliaccio (Canio) che dice di amarla. Non voglio svelare l'idea registica, ma colgo l'occasione per anticipare che ho creduto utile dare due tagli del tutto diversi alle due opere di Carmen e Pagliacci, ma che in entrambi i casi fedeli al mood dell'opera, al senso del libretto, al pensiero musicale del compositore e alla partitura. Carmen ha avuto un allestimento pomposo, imponente e totalmente in linea al contesto geo temporale dell'opera, ma con l'innovazione di abbattere la cosiddetta "quarta parete", e attraverso espedienti scenografici e tecnici di restituire un'unica grande piazza di Siviglia; con la connessione diretta, senza soluzione di continuità tra palcoscenico e platea, e una fruizione quasi immersiva per buona parte del pubblico. Pagliacci, invece, ha una visione più stilizzata, pulita della scena, puntando sull'universalità dei profili psicologici in campo e la loro capacità di rappresentare dei topoi ancora oggi del tutto contemporanei. La regia di Gianmaria Aliverta, uno dei registi italiani di nuova generazione più interessanti e con una fulgida carriera, insieme ad un cast di valore che si avvale anche della presenza di una grandissima voce della lirica quale quella di Achiles Machado, sono certa che restituirà convincenti emozioni ed auspico anche un bel dibattito culturale sul rapporto fra tradizione e innovazione, direzione e regia, nelle produzioni liriche. Dimenticavo: anche Pagliacci è un nuovo allestimento, si tratta di una produzione propria del Teatro Rendano, e confidiamo di poterla esportare».