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13/05/2025 ore 18.30
Cultura

Bronzi di Riace, l’archeologo Castrizio: «Bisogna raccontare il mito. Esistono più teorie scientifiche da spiegare»

VIDEO | Negli studi de ilReggino.it confronto con uno dei massimi esperti mondiali dei Bronzi, che critica alcune mancate scelte da parte del Ministero: «Sta imponendo una non-narrazione, un insulto a chi ha speso una vita su queste statue»

di Silvio Cacciatore

Quando si affronta il tema dei Bronzi di Riace, non si può restare in superficie. Non è solo una questione di complessità, ma soprattutto di profondità di pensiero. Daniele Castrizio – archeologo, docente, numismatico e tra i maggiori studiosi delle celebri statue – si apre ai microfoni di ilReggino.it (clicca qui per vedere l’intervista) in una riflessione che affonda nelle radici scientifiche, culturali e identitarie del racconto attorno a questo patrimonio unico.

Con straordinaria chiarezza e una dedizione costante che attraversa i decenni, Castrizio evidenzia quanto sia ormai indispensabile invertire la rotta e restituire a questi capolavori la verità storica e la profondità interpretativa che meritano. I Bronzi, dice, sono molto più che reperti: sono il cuore simbolico della Calabria.

«L’archeologia non è vendere pentole. È public history»

«Nessuno riuscirà mai a farmi parlar male del direttore Sodano», chiarisce subito Castrizio, rivendicando un’alleanza scientifica e umana con l’attuale guida del Museo Archeologico di Reggio Calabria. Il problema, piuttosto, «sta a Roma», nella Direzione Generale Musei e nella figura del professore Massimo Osanna, accusato da Castrizio di proporre «una narrazione imposta e monodirezionale».

Una delle uscite più controverse di Osanna, per Castrizio, riguarda il paragone tra i Bronzi e le recenti scoperte in Toscana. «È come mettere la Gioconda accanto alle statuette di Padre Pio», dice. «Entrambe sono importanti, ma non sono comparabili».

«Se capisco, amo. Se amo, proteggo», dice Castrizio. Ma oggi la comunicazione dei Bronzi è dominata da una logica che esclude lo studio critico «Non basta dire “V secolo a.C.”. Bisogna raccontare il mito, il simbolo, l’intento di chi ha scolpito». E sui Bronzi, aggiunge, «esistono più teorie scientifiche, da spiegare e confrontare», ma il Ministero ne ha sposata una soltanto.

Castrizio non usa mezzi termini sulle due copie colorate esposte: «La prima si ispira alla mia teoria senza citarla, la seconda è un putiferio». Il problema, spiega, non è avere opinioni diverse, ma «imporre senza confronto». E i social non sono il luogo della scienza: «Il fruttivendolo o il medico possono avere intuizioni, ma non possono sostituirsi al metodo scientifico».

Siracusa e il “bronzo siciliano”? Una polemica sterile

Dalla Sicilia, alcuni sostengono che i Bronzi siano siracusani. Ma Castrizio chiarisce: «Le analisi sono state fatte su un braccio non originale», probabilmente romano. E lo dice direttamente il professore Lino Cirrincione, autore dello studio. «Va benissimo che siano stati restaurati a Siracusa. Ma furono fusi ad Argo. E la paternità non si assegna a colpi di post».

«Non mi interessa vendere la mia teoria», ribadisce, ma difendere la scientificità del metodo: «Il bronzo come “Gelone nudo” non ha riscontri iconografici. E Madèddu, che pure mi sta simpatico, non ha una pubblicazione scientifica. È come voler giocare in Serie A senza passare dai campionati regionali».

Nel nuovo volume curato da Laruffa Editore, Castrizio presenta dati inediti: «Una statua trovata ad Argo nel 1991 ha la stessa terra di fusione dei Bronzi». E secondo l’archeologo Antonio Corso, i Bronzi sono addirittura opera di Pitagora di Reggio. Non solo: «Abbiamo trovato anche un bronzetto a Roma che raffigura esattamente i due Bronzi», dimostrando che erano noti come gruppo statuario già in epoca imperiale.

Castrizio non nasconde l’amarezza per un Ministero assente, che ha «fatto sparire una app funzionante e gratuita» e spende in progetti calati dall’alto. «In Italia oggi fai ricerca coi tuoi soldi. E se provi a innovare, ti isolano».

Un appello al Ministero: «Serve un cambio di passo»

La chiusura è un messaggio diretto alla politica: «Basta con le cordate e gli archeologi che non rischiano mai. L’intelligenza artificiale vi sostituirà. Serve un’archeologia emozionale, viva, accessibile». E ancora: «Se l’Italia non cambia approccio, rischia di perdere la sua storia». Parola di chi ai Bronzi ha dedicato la vita, e che non smetterà mai di raccontarli, studiarli, amarli.