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10/08/2025 ore 21.15
Cultura

Da Rossano ai teatri di tutta Italia, Rosa Masciopinto: «Recitare aiuta a conoscersi. I giovani calabresi? Qui hanno pochi sbocchi»

VIDEO | Gli studi a Parigi e Londra, poi la fondazione di una compagnia tutta al femminile. Per l’artista cosentina una vita tra palcoscenico, scrittura e formazione: «Oggi il mio impegno è anche quello di insegnare alle nuove generazioni»

di Matteo Lauria

Rosa Masciopinto, artista calabrese originaria di Corigliano Rossano, ha attraversato decenni di teatro in Italia e all’estero, passando dalla recitazione comica alla scrittura e all’insegnamento. Dopo aver lasciato la Calabria per studiare a Firenze, ha trovato la sua vocazione nel teatro fisico, formandosi in Francia e in Inghilterra, e fondando una compagnia tutta al femminile che ha portato in scena testi originali per oltre 15 anni. Nel 1996 è stata protagonista, insieme a Rocco Papaleo, del cortometraggio Senza Parole di Antonello De Leo, vincitore del David di Donatello per il miglior cortometraggio e candidato l’anno successivo all’Oscar. Oggi continua a insegnare e a scrivere, mantenendo un legame profondo con la propria terra, pur denunciandone le difficoltà nel valorizzare gli artisti locali.

Come è iniziato il suo percorso artistico?
«Ero partita per studiare medicina a Firenze, ma negli anni Settanta ho incontrato il teatro fisico, il teatro del corpo. Ho cominciato con la scuola di mimo, poi sono andata in Francia a studiare la maschera neutra e il teatro fisico».

Cosa l’ha portata a Roma e alla comicità?
«Negli anni Ottanta mi sono trasferita a Roma, dove ho iniziato a fare teatro comico brillante. Ho fondato, con una partner meravigliosa, la compagnia “Opera Comique”: due donne in un momento in cui erano rare sul palco, soprattutto a far ridere. È stata una bella esperienza durata 15 anni, con tanto successo in Italia e anche un po’ all’estero».

Come si è avvicinata all’insegnamento?
«Dopo la fine della compagnia, per caso ho scoperto di saper insegnare. Ho avuto la fortuna di incontrare il direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, che mi ha accolto a braccia aperte. Lì ho insegnato per sette anni, sviluppando un metodo per formare attori-autori, capaci di creare e mettere in scena. Ho insegnato anche al Teatro Bellini di Napoli per dieci anni, seguendo i giovani nel loro percorso professionale».

Come il Covid ha influenzato la sua attività?
«Dopo la pandemia, il nostro mestiere si è ristretto. Continuo a insegnare privatamente o come consulente per ex allievi che oggi a loro volta insegnano».

Che rapporto ha con Corigliano Rossano e la Calabria?
«È un rapporto di amore e odio. Sono nata qui e la cultura calabra, soprattutto il dialetto rossanese, è stata una risorsa enorme nel mio lavoro. Ma è un luogo dove è difficile far fiorire le proprie risorse artistiche. Ho provato almeno tre volte a tornare con progetti, ma non sono andati in porto. In 35 anni di carriera, a Rossano mi hanno chiamata una volta sola».

C’è un ricordo d’infanzia legato a questa città?
«Le recite scolastiche all’Istituto Sacro Cuore, dove una suora meravigliosa mi fece interpretare personaggi in dialetto. È stata la mia prima “porta” sul teatro».

Come vede i giovani calabresi?
«Li vedo con pochi sbocchi per applicare la loro intelligenza. È un problema che riguarda tutta Italia, ma qui è più accentuato».

Perché il teatro è importante?
«Il teatro dovrebbe essere insegnato a scuola, dalle elementari al liceo. Aiuta a conoscersi, a capire le proprie risorse e a saperle usare nel mondo».

Cosa si impara dal teatro?
«Si impara a conoscersi, a gestire il corpo e il respiro, a sviluppare calma e consapevolezza. È simile allo sport: il corpo è lo strumento principale dell’attore».

Come si costruisce la fiducia in scena?
«Con molto lavoro e allenamento, conoscendo il proprio corpo in profondità, come fa un atleta».

Il pubblico condiziona la scrittura?
«Sì, dipende dal pubblico che scegli. Io mi sono sempre rivolta a un pubblico ampio, senza essere superficiale, cercando di raccontare storie accessibili a tutti».

La regia è più istinto o costruzione?
«No, la regia è visione. Io, per esempio, ne ho fatta tanta, ma tra tutte le cose che faccio — e il teatro è una scatola che ne contiene molte altre — la regia è la più difficile. Serve avere una visione, saper dire agli altri cosa fare, ma soprattutto affrontare la fatica del ruolo: tutto parte dal regista e tutto torna al regista. Attori, macchinisti, scenografi, costumisti… ogni cosa viene assorbita da lui. Per questo deve essere una personalità carismatica e amata».

Quando si capisce che uno spettacolo è pronto?
«Uno spettacolo non è mai pronto. Ogni replica, e anche quando ho interpretato testi di altri autori, porta con sé ogni sera qualcosa di nuovo da scoprire. È vero, si arriva alla prova generale e si dice: “Domani si va in scena”».

Le interessa il teatro politico?
«Molto, l'ho fatto. Nel mio teatro sono molta politica».

E oggi che messaggio arriva dalla politica e che messaggio vorrebbe rivolgere la politica?
«Dalla politica arriva un messaggio limitante delle libertà dell’artista».

Ma c'è una cultura teatrale di destra e di sinistra?
«Trovo che l'arte sia sempre progressista. È difficile trovare degli artisti che siano conservatori. Se veramente si guarda al mondo e si vuole parlare al mondo non si può essere restrittivi».

Il clown?
«Il clown è il mio specifico. Io sono la clownessa».

Gioco o verità?
«Gioco e verità. Il mio direttore del Teatro Bellini di Napoli, la mia materia, la chiamava proprio così. Gioco e verità».

C'è un difetto teatrale?
«Un difetto teatrale è la mancanza di generosità. Cioè andare in scena solo per il proprio piacere, per la propria vanità, per mostrarsi. E questo è il più grande difetto che un attore può avere. E lo si vede perché sono gigioni, perché sono istrioni. Un bravo attore è quello che comunica, che parla alla gente».

Si sente registratrice o pedagoga?
«In questo momento scrittrice. Sto finalmente prendendo in serie considerazione la scrittura e passare dalla scrittura di prosa a quella letteraria. E mi sono rimessa a studiare per farlo».

Prossimo laboratorio?
«Prossimo laboratorio spero a Crotone perché stanno facendo un esperimento molto interessante. Si chiama la palestra dell'attore ed è dedicato non ai professionisti. Sono persone, diciamo, filodrammatica. Il direttore chiama dei professionisti per fare formazione a degli adulti che stanno formando un bellissimo circolo intellettuale, anche letterario. E quindi so che dovrò andare da loro».

Un sogno da realizzare?
«Pubblicare il mio lavoro. Però continuerò a insegnare perché la pedagogia mi sta nel cuore. Penso che quello che io posso fare nel mondo, sia educare».

Tornerà in scena?
«Non lo so, può capitare. Non come attrice, non credo. È come se il teatro abbia preso tutto quello che potevo prendere e quello che potevo dare. Siccome il teatro mi ha insegnato ad insegnare, sento che è questa la cosa che devo fare adesso».