Dammi solo un minuto, nel 1977 la canzone dei Pooh raccontò gli anni delle rivoluzioni mancate e l’inizio del disincanto
La canzone, scritta da Valerio Negrini e Roby Facchinetti, arrivava come una ferita aperta nel panorama musicale italiano, travolta dalle onde del cambiamento
C’erano gli anni Settanta. Anni in cui l’Italia cambiava pelle, tra la fine delle utopie e l’inizio del disincanto. Anni di rivoluzioni mancate, di promesse svanite tra le mani, di sogni consumati in fretta come sigarette spente sui marciapiedi delle grandi città. E nel cuore di questo decennio inquieto, nel 1977, i Pooh cantavano una richiesta semplice, disperata: “Dammi solo un minuto, un soffio di fiato, un attimo ancora…”.
La canzone, scritta da Valerio Negrini e Roby Facchinetti, (testo di Negrini, musica di Facchinetti) arrivava come una ferita aperta nel panorama musicale italiano, travolta dalle onde del cambiamento. Il beat degli anni ’60 era ormai un ricordo; la protesta, un’eco logorata; e l’amore, quello vero, quello che si consumava negli sguardi sulle panchine, e nei treni di seconda classe, sembrava anch’esso attraversare una crisi.
"Dammi solo un minuto" non è solo una canzone d’amore. È il canto di un’epoca che, mentre rincorre la modernità, si accorge di aver perso qualcosa per strada. È l’ammissione di una sconfitta: quella dei sentimenti che, come la società, si disfano tra le dita. L’amore raccontato dai Pooh è quello che si aggrappa all’ultimo respiro, quell’amore che si consuma, come acqua nel deserto, lasciando dietro di sé la sete, la nostalgia, l’eco di una voce che implora di essere ascoltata, ancora per un attimo.
Nel 1977 l’Italia era stanca. La tensione politica, il terrorismo, la crisi economica... ma soprattutto, era stanca di credere. In un Paese dove anche l’innamoramento sembrava sospettoso, difensivo, la canzone dei Pooh si rivolgeva direttamente al cuore di chi, invece, amava ancora con l’ingenuità di un tempo. Parlava agli uomini e alle donne che avevano vissuto amori intensi e brevi, consumati nell’urgenza del presente. Agli innamorati che si scrivevano lettere, che si lasciavano nei bar tra una sigaretta e un caffè, che si rivedevano per caso alle fermate dell’autobus e chiedevano, appunto, solo un minuto.
“Un minuto solo ancora, un soffio di fiato per dirti che è finita…”.
L’amore negli anni Settanta si sgretola così: in silenzi pieni di parole non dette, in addii sussurrati, in valigie chiuse in fretta. E i Pooh, con una delicatezza che rasenta la poesia, riescono a restituire tutta la malinconia di quegli attimi sospesi. La loro musica, lontana dagli eccessi del rock ribelle, ma molto vicina al rock melodico, è fatta di tastiere avvolgenti, di arrangiamenti quasi sinfonici, che cullano il dolore e lo rendono universale.
Un’estate lunga una canzone: il racconto dei tormentoni che ci hanno fatto innamorareOggi, riascoltando "Dammi solo un minuto", è impossibile non sentire il peso del tempo. Quel tempo che negli anni Settanta sembrava scorrere più veloce, portando via le certezze, le ideologie, perfino i legami. Ma anche quel tempo che, paradossalmente, si fermava in una stanza, davanti a una persona amata, per chiedere ancora un istante, un frammento di eternità.
Perché in fondo, in quegli anni confusi, in cui tutto sembrava franare, l’amore rimaneva l’ultima vera rivoluzione. Fragile, certo. Ma irriducibile. E i Pooh, con questa canzone, ne hanno scritto l’inno sommesso, struggente, indimenticabile.
"Dammi solo un minuto" non è solo la cronaca di un amore che finisce, ma anche la fotografia di un’epoca che si accorge, troppo tardi, di aver smesso di credere nei sentimenti semplici. È una preghiera laica, una supplica che tutti, almeno una volta, abbiamo sussurrato in silenzio, quando un amore sembrava sgretolarsi tra le dita e il tempo non bastava più.
E nel finale, quando la voce si fa più sottile, quasi spezzata, arriva la domanda che ancora oggi ci ferisce come allora:
“Come mai i tuoi occhi ora stanno piangendo? Dimmi che era un sogno e ci stiamo svegliando…”
Ma il sogno è finito. E siamo ancora qui, svegli, a ricordare. Ad amare.
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