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26/08/2025 ore 12.42
Cultura

Garibaldi e i suoi due sbarchi in Calabria: dalla Spedizione dei Mille al ferimento in Aspromonte

L’Eroe dei Due Mondi fu una personalità molto eclettica: la sua vita fu ricca di avventure, rischi, vittorie, sconfitte, audacia. La volontà di unire l'Italia il legame a doppio filo con la nostra regione

di Massimo Tigani Sava

Giuseppe Garibaldi è considerato un eroe della Patria dai ferventi sostenitori del processo di unificazione italiana, mentre è osteggiato, ovviamente sul piano storico e culturale, dai filo-borbonici e da quella porzione di meridionalisti convinta che il Mezzogiorno sia stato vittima di una vera e propria dannosa annessione da parte dei Piemontesi. Il suo rapporto diretto con la Calabria fu duplice, e vedremo perché da qui a breve.

Giuseppe Garibaldi nacque nel 1807 a Nizza, una contea allora governata dai Savoia ma occupata dai francesi di Napoleone Bonaparte, ed egli soffrì molto quando nel 1860 Cavour la cedette a Napoleone III in cambio del sostegno politico-militare all’espansione del regno sabaudo. Il generale morì nell’isola di Caprera, arcipelago de La Maddalena, a nord-est della Sardegna, nel 1882. Per narrare la biografia di questo personaggio così eclettico e complesso, e la cui vita è degna della penna dei migliori romanzieri, necessiterebbero alcuni volumi. Basti dire che nelle diverse fasi della propria esistenza, correndo anche mille pericoli, fu un comandante militare, un rivoluzionario, un uomo politico e parlamentare, un marinaio, un instancabile viaggiatore, lo strenuo difensore di diverse cause nazionali, e finanche uno scrittore.

Garibaldi è stato senz’altro uno dei principali protagonisti del Risorgimento Italiano e dell’Unità: non c’è città del Belpaese che non lo ricordi con un busto, una statua equestre, una via importante o una piazza centrale, un’iscrizione marmorea che richiami il suo passaggio o un suo fulmineo pernottamento. L’Eroe dei Due Mondi, così è stato appellato per aver combattuto anche in America Latina per più di dieci anni a favore della Repubblica Riograndense e dell’Uruguay, aveva nel sangue il mare, essendo figlio di famiglie di pescatori e proprietari di piccole imbarcazioni. Già da adolescente, raggiungendo diverse località italiane e straniere, e facendosi presto apprezzare come esperto navigatore e capitano, si imbarcò tra necessità della vita e indole da esploratore. Le cronache e gli storici non lo descrivono come un diligente studioso, ma senz’altro fu una personalità impetuosa mai paga di nuovi saperi e di esperienze ardimentose. Poliglotta, cosmopolita, appassionato di argomenti di natura storica e soprattutto di idee patriottiche che lo portarono ben presto a sposare la causa mazziniana.

Dall’età di circa 26 anni, assorbite le teorie e i princìpi diffusi da Giuseppe Mazzini (1805-1872), Garibaldi sposò l’idea dello Stato unitario italiano. Si tenga presente, però, che il primo, fervente repubblicano e quindi antimonarchico, non accetterà mai di giurare fedeltà allo Statuto Albertino, al contrario quindi del nizzardo che sosterrà il ruolo politico-istituzionale della monarchia sabauda. Certo è che l’attività cospirativa e di proselitismo filo-mazziniano iniziata a partire dal 1933 costrinse il condottiero, condannato a morte, ad optare per il già richiamato lungo esilio in America Latina. Dall’inizio della Prima Guerra d’Indipendenza anti-austriaca (1848) a tutto il lungo processo di nascita dell’Italia Unita, Giuseppe Garibaldi, che intanto aveva conosciuto la sua compagna Anita, ne fu uno dei fondamentali artefici. L’Eroe scampato a tantissimi pericoli nelle Americhe, e la cui fama stava crescendo, rientrato in patria proprio nel 1848 iniziò ad avvicinarsi ai destini della Casa Savoia, a partire da un confronto altalenante con re Carlo Alberto (1798-1849). Fino al 1860-1861 e anche oltre, la vita del nizzardo fu caratterizzata da un’incredibile somma di eventi nel corso dei quali rischiò la vita tante volte, fu responsabile di vittorie e sconfitte sul campo, nonché di un’attività continua di mobilitazione di relazioni e uomini, di viaggi e fughe rocambolesche. Visse anche un secondo movimentatissimo periodo di residenza in America, lavorando addirittura per il geniale inventore Antonio Meucci. Dal 1854 alla mitica Spedizione dei Mille (1860-1861) Garibaldi fu totalmente assorbito dal processo unitario italiano, in connessione con la Corte e il Governo di Torino, non prima di aver creato nei suoi possedimenti di Caprera un’organizzata fattoria, tra agricoltura e allevamenti. La vicinanza ai destini dei Savoia troncò i suoi rapporti con il repubblicano Mazzini.

La marcia trionfale delle Camicie Rosse (non è questa la sede per accennare alle diverse e complicate letture date dalla storiografia prevalente), tra le quali tanti medici, avvocati e ingegneri, iniziò dallo sbarco a Marsala, in Sicilia (11 maggio 1860), regione della quale Garibaldi si proclamò dittatore in nome di “Vittorio Emanuele II re d’Italia” e issando il Tricolore a Salemi. Liberata l’Isola, e con l’intervento del calabrese Benedetto Musolino che ai primi di agosto non ce la fece a conquistare il forte di Altafiumara, lo sbarco in forze delle Camicie Rosse avvenne a Melito Porto Salvo, sulla costa jonica, il 18-19 agosto 1960. La marcia fu rapida e vittoriosa, partendo dalla presa della stessa Melito, poi di Reggio. Tra i garibaldini anche Antonino Plutino, Francesco Stocco (una grande statua, posta di fronte alla nuova Procura della Repubblica, lo ricorda a Catanzaro), Domenico Mauro, Luigi Miceli, Giuseppe Pace, Stanislao Lamenza, Domenico Damis. Un obelisco nel centro storico di Soveria Mannelli ricorda la resa senza combattimento dei borbonici e il famoso telegramma di Garibaldi: «Dite al mondo che ieri coi miei prodi calabresi feci abbassare le armi a diecimila soldati, comandati dal generale Ghio».

Il 2 settembre il Generale e le sue Camicie Rosse sono già in Basilicata, e il 7 successivo entrano trionfanti a Napoli. Il rapporto tra Garibaldi e la Calabria ha un altro famoso episodio nel ferimento avvenuto in Aspromonte. Il 29 agosto 1862, quando l’Italia è già stata unificata, ma ancora Roma, protetta dal re francese Napoleone III, non era stata conquistata dal nuovo regno sabaudo. Il Generale era un fervente sostenitore del completamento del processo unitario con la presa della Città Eterna, e infatti il 19 luglio 1862, dopo essere di nuovo sbarcato in Sicilia, a Marsala, secondo la prevalente storiografia, pronunciò la celebre frase: «Roma o morte!».

All’alba del 15 agosto Garibaldi giunse di nuovo in Calabria, sbarcando ancora una volta nei pressi di Melito Porto Salvo, a capo di circa duemila armati. Il governo di Torino non apprezzava l’iniziativa e gli frappose l’esercito. I garibaldini per evitare strade pericolose si erano diretti in Aspromonte dove il 29 agosto ci fu lo scontro a fuoco con le truppe di bersaglieri comandate dal generale Emilio Pallavicini. L’ordine era di fermare questa sorta di seconda Spedizione dei Mille. Il nizzardo, nonostante l’avvio delle ostilità dei sabaudi che non ebbero timore di aprire il fuoco contro l’Eroe e i suoi seguaci, era così convinto di non dover versare il sangue di fratelli italiani che, espostosi al pericolo, venne ferito per ben due volte, alla coscia e alla caviglia. “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” recita il testo di una famosa canzone popolare. Leso l’Eroe, che aveva accanto il figlio Ricciotti, i combattimenti cessarono, e sul campo caddero circa dieci combattenti dei due distinti fronti, oltre a una cinquantina di feriti. La sparatoria d’Aspromonte divenne un caso internazionale, anche a seguito dell’arresto dell’Eroe che però Vittorio Emanuele amnistiò dopo poche settimane. Giuseppe Garibaldi era massone e anticlericale, tanto da diventare nel 1864 Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Roma verrà liberata dai bersaglieri il 20 settembre 1870. L’Eroe, con seguaci in tutto il mondo, spirò nell’amata Caprera il 2 giugno 1882, a 75 anni d’età.