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25/05/2025 ore 12.15
Cultura

I cento anni di nonna Maria, custode della Calabria greca: «Combatterò fino all’ultimo per salvare questa lingua»

È una delle ultime grecofone ed un’istituzione per Bova e per l’intera area: «Ci hanno fatto sentire stupidi, ma siamo qui per aiutare i giovani a preservare questo enorme patrimonio»

di Silvio Nocera

Nella Calabria greca c’è un’eco di passato che è ancora presente e che arriva fino a noi, la voce flebile e resistente di chi ha attraversato mondi antichi che si sono conclusi e si trova in quelli nuovi con la stessa familiarità di una quercia saldamente piantata nella sua terra.

Maria Volontà è una di queste persone. Si presenta con le sue cento primavere che le solcano il volto. Pare che gli anni vi abbiamo dissodato le zolle di un tempo e una memoria dilatate, quasi liquide, che Maria ripercorre con sicurezza. Lei è una delle ultime grecofone. Un’istituzione per Bova e per per i bovesi, con la sua vita trascorsa a cavallo tra due secoli che hanno visto il tramonto della civiltà contadina. Offre la sua saggezza alle nuove generazioni.

«Sono greca. Mio nonno era greco, mio padre e mia madre erano greci e anche io lo sono e continuo a esserlo in questo mondo che pare essersi rivoltato». Solleva una mano a mimare questa torsione, gli occhi che mi guardano con profondità. «È un mondo molto diverso da quello in cui sono nata, cresciuta, mi sono sposata e ho costruito una famiglia. È un mondo che stento a riconoscere, ma in cui è necessario avere fiducia, perché niente resta fermo e tutto si muove».


Maria è la presidente onoraria dell’associazione Jalò tu Vua, storica organizzazione dell’area grecanica che si batte per la tutela e la salvaguardia del patrimonio linguistico e culturale di questo pezzo di mondo che va scomparendo. D’estate l’associazione organizza da anni la Settimana Greca, corso di apprendimento del greco di Calabria per appassionati, studiosi, adulti e bambini, ospitando testimonianze viventi di una realtà di cui resistono le ultime tracce.

«Non sono più in grado di sostenere una conversazione completa in greco. Per troppo tempo è mancato l’esercizio di una lingua, fin da quando per estirpare le nostre radici millenarie, ci hanno fatto sentire stupidi. Da quando quel prete ha cominciato a dire che chi parlava greco era inferiore, siamo stati costretti a vivere quasi nascosti, con un senso di colpa che ha relegato il grecanico a statuto di codice clandestino. Gli adulti e gli anziani parlavano il greco quando non volevano essere capiti, o quando ritenevano che noi bambini dovessimo essere tenuti all’oscuro di certe conversazioni», racconta Maria.

“Quel prete”, di cui non delinea identità e contorni, è probabilmente un riferimento a chi, da sacerdote o amministratore, ha incarnato l’atteggiamento del pensiero dominante di Chiesa cattolica e governo fascista che vedevano nel grecanico un elemento di rischio capace di minare l’unità culturale della nazione italiana. Un principio di malattia da debellare soffiando su un millantato senso di inferiorità, ultimo dei colpi assestati alla tradizione greca dopo secoli di una guerra cominciata nel 1573 con l’abolizione del rito greco da parte del vescovo Giulio Stavriano.

Maria, nata nel 1925, ripercorre con lucidità certe fasi di vita personale e storia comunitaria che già abbiamo testimoniato raccogliendo le storie della diaspora grecanica a Reggio Calabria. Una storia che ha guardato alla cultura millenaria dei Greci di Calabria come a una macchia da lavare nel lavabo della vergogna, nella convinzione che i grecanici fossero parpatuli, paddhechi. Storti, come si parla degli stupidi nella vulgata della provincia di Reggio. E che quello fosse un patrimonio da cancellare.

Tuttavia oggi, nonostante provvedimenti come la legge 482 a tutela delle minoranze culturali e linguistiche risultino poco o male applicati, un nuovo senso di appartenenza e di orgoglio si è diffuso. E questo sentimento guida progetti di rivitalizzazione linguistica come quelli portati avanti dalle giovani generazioni di Jalò tu Vua per cui Maria con la sua lingua, il suo portato, la sua memoria, rappresenta un vero e proprio baluardo.

«Probabilmente abbiamo già superato il punto di non ritorno, nel senso che il greco di Calabria, non potrà tornare a essere la lingua che era. Il suo uso quotidiano è stato ormai abbandonato e la sua conoscenza non è stata trasmessa. Ma io, assieme agli altri anziani, siamo qui per dare una mano a questi giovani che si stanno impegnando a preservare e custodire il nostro patrimonio. Spero allora che non tutto vada perso e che qualcosa della nostra bella lingua possa conservarsi. Per quanto in mio potere, combatterò questa battaglia fino all’ultimo».

Una voce e una testimonianza di vita, quelle di Maria, che ancora oggi sanno orientare l‘identità e la forza di un intero territorio.