Il genio assoluto di Tommaso Campanella e quasi trent’anni di torture inaudite e di orribili carcerazioni
Ritenuto un pericoloso sovversivo, il più grande dei Calabresi di tutti i tempi sognò un mondo migliore, più sano, più giusto, e soprattutto in grado di far trionfare la “verità”
«Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia…». Il più grande dei Calabresi di tutti i tempi, Tommaso Campanella, sognò un mondo migliore, più sano, più giusto, e soprattutto in grado di far trionfare la “verità”. Scelse come simbolo e firma una “campanella” che simboleggiava la volontà ferrea di svegliare l’umanità dal torpore dell’ignoranza e dell’accidia. Sintetizzare la vita e il pensiero di questa personalità immensa e universale non è impresa possibile, non solo in un articolo di giornale, ma anche in un solo libro per quanto erudito e documentato.
Luigi Firpo, che tra gli studiosi del Campanella rimane il più autorevole e il riconosciuto “maestro”, descrisse l’opera di questo genio eclettico come una «foresta smisurata» e il suo carattere forgiato da una «ostinazione indomabile». Campanella nacque nel 1568 a Stilo, città calabrese jonica oggi famosa per la Cattolica, e fu battezzato come Giovanni Domenico. Tommaso è il nome che scelse da frate domenicano quale diventò percorrendo l’iter formativo e di studi nei conventi di Placanica, San Giorgio Morgeto, Nicastro e Cosenza. Emblema universale dell’intelligenza assoluta soffocata dalla grettezza del potere cieco e ottuso, dall’ignoranza di istituzioni barbare e violente, dalla cattiveria e dalle invidie umane: subì pesanti torture fisiche e psicologiche, e quasi trent’anni di carcerazione, con un culmine di straziante sofferenza nella sotterranea, orribile e atroce “Fossa del coccodrillo” di Castel Sant’Elmo a Napoli, fredda, buia, umida, un antro infernale, dov’era ferrato mani e piedi, nutrito di rifiuti.
Ripetiamolo: quasi trent’anni di processi, voluti dall’Inquisizione, torture, detenzioni tremende in condizioni spaventose. Mentre i torturatori dilaniavano le sue carni e il suo spirito, con marchingegni tanto semplici quanto demoniaci, si finse pazzo, pronunciando parole senza senso, per evitare di essere condannato a morte.
Le accuse che gli vennero mosse nel corso di questa vita straziante furono tante, sia da parte dei dominatori Spagnoli, contro i quali organizzò una sorta di insurrezione calabra nel 1599, sia da parte del Sant’Uffizio per questioni di fede che giunsero alla contestazione di eresia. Campanella, che pur sempre dichiarò la propria insopprimibile fede cristiana, era ritenuto un pericoloso sovversivo, portatore di idee rivoluzionarie e pericolosissime. Leggere gli scritti del Firpo sui processi del Campanella può indurre alle lacrime per due distinte ragioni: il livello di inimmaginabile malvagità raggiunto dagli inquisitori e la forza caparbia di un coraggiosissimo pensatore che tentava comunque di resistere senza perdere mai la speranza. Per anni scrisse le sue straordinarie opere su pezzettini di carta nascosti ai carcerieri e a lume di mozzi di candela. Meditava, scriveva… ma troppe volte i suoi testi venivano sequestrati e distrutti. Li riscriveva, li modificava, li ampliava, dotato com’era anche di una memoria prodigiosa, di fatto disumana.
I suoi trattati sulle più svariate materie di teologia, filosofia, scienze, finanche astrologia, erano intrisi di citazioni dotte, ma Campanella nelle raccapriccianti carceri in cui fu costretto non poteva certo consultare biblioteche ed enciclopedie: poteva contare solo sulla forza della propria mente. Era figlio di un ciabattino povero e analfabeta, e sin da bambino Campanella fu essenzialmente, per lunghi periodi della propria vita, un autodidatta. Divorava i testi antichi e li memorizzava, sottoponendoli alle sue superiore analisi critiche. Ne “La Città del Sole”, piccola ma potente opera tra le più conosciute, condensò la sua visione utopica di una società perfetta. Morì in esilio a Parigi nel 1639, dove ebbe rapporti anche con il Cardinale Richelieu. Conobbe Galileo Galilei e lo difese senza essere pienamente ricambiato. Trasse ispirazione dalla potenza innovativa di un altro grande illuminato conterraneo, il cosentino Bernardino Telesio. Ne “La Città del Sole” sono profondi anche i richiami al Pitagorismo e al principio dell’armonia universale. Fra’ Tommaso fu orgoglioso di essere un figlio della Magna Grecia.
Ritornando ai versi che hanno aperto questo umile omaggio, occorre ricordare che lo Stilese fu anche un eccelso poeta. Nei pochi momenti di libertà “condizionata” vissuti tra estenuanti processi e durissime carcerazioni, venne costantemente spiato e perseguitato. Per intercessione di Papa Urbano VIII venne definitivamente scarcerato nel 1629, all’età di 61 anni. Nel 1634, alla fine della sua disperata vita Campanella, ancora una volta preso di mira, dovette fuggire a Parigi dove venne protetto dal citato cardinale Richelieu e dal re Luigi XIII. Non farà mai più rientro in Italia.
Nella capitale francese riuscì a risistemare e ripubblicare buona parte delle proprie opere, anch’esse con percorsi travagliatissimi come la sua biografia. La sua fama aveva attraversato da tempo i confini italiani né, come attestano i tantissimi studi a lui dedicati, la sua personalità e le sue teorie non furono esenti da contraddizioni, reali o apparenti. Talora non si tiene conto di come numerosi suoi scritti furono inevitabilmente condizionati dalla tormentata e lunghissima carcerazione, alimentata dal mai sopito sogno di essere creduto e rivalutato. In altri casi si trascura che, per quanto aperto alle nuove visioni e capace di anticipazioni lungimiranti, Campanella fu pur sempre un uomo del tardo Cinquecento. A Stilo lo ricorda, tra l’altro, un monumento bronzeo posto al centro della piazza principale. Il palazzo del Consiglio regionale della Calabria, a Reggio, è dedicato alla sua memoria!