Il prof Giuseppe Macrì ai giovani calabresi: «Non accettate mai che la rassegnazione diventi cultura. Pensare è il primo atto di libertà»
Il filosofo originario di Petilia Policastro, docente a Perugia e studioso del pensiero di Kierkegaard, invita le nuove generazioni a riscoprire il valore della riflessione e della presenza reale: «Solo tornando a pensare con profondità possiamo ritrovare la misura umana della vita»
Giuseppe Macrì, docente e studioso di filosofia estetica, vive a Perugia ma è originario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone. Autore di diversi libri di filosofia, è membro della Società Filosofica Italiana e ha partecipato come relatore a convegni e festival di rilievo nazionale, tra cui il Festival Internazionale della Filosofia di Modena. La sua ricerca si concentra sul pensiero esistenziale e religioso di Søren Kierkegaard, con particolare attenzione al rapporto tra fede, Dio e angoscia, temi che approfondisce nel suo libro “Kierkegaard, la fede come superamento dell’angoscia”.
Il pensiero di Giuseppe Macrì è stato diffuso da diverse testate giornalistiche in tutta Italia. Con passione e dedizione, intende oggi restituire alla sua terra d’origine un contributo culturale, divulgando il pensiero filosofico come chiave per comprendere la vita, la fede e il futuro dell’uomo, attraverso un punto di vista contemporaneo.
Nel suo libro “Oltre lo schermo – Salvare il reale dalle dipendenze digitali”, analizza la digitalizzazione come uno strumento utile ma anche ingannevole: «Nel mio libro – spiega – vado oltre l’umano sociale e provo a intravedere l’umano digitale. La nostra società è invasa dagli smartphone, che in un certo senso hanno preso il comando su di noi. In Calabria, essendo una terra fragile dal punto di vista del lavoro, l’uomo si aggrappa alla digitalizzazione come via di fuga, dimenticando per un attimo tutto il contesto che gli gira intorno. Poi, quando ‘atterra’ nel mondo reale, è un’altra persona: non è più congruente, ha un altro modo di vedere il mondo, quello dei social e delle piattaforme».
Professor Macrì, partiamo dalle origini: quanto hanno contato Petilia Policastro e la Calabria nella formazione del suo pensiero filosofico e umano?
«Petilia Policastro e la Calabria sono state molto più che un punto di partenza geografico: sono la radice profonda del mio modo di pensare e di guardare il mondo. In Calabria si cresce tra contrasti forti — la bellezza e la fatica, la luce e la lentezza, la memoria e il desiderio di andare altrove — e credo che proprio da questa tensione nasca la mia curiosità filosofica. Da Petilia ho imparato l’importanza del silenzio e dell’ascolto, due gesti che precedono ogni riflessione autentica. La Calabria, invece, mi ha insegnato che ogni pensiero deve restare legato alla terra, alla vita concreta delle persone, alla loro dignità quotidiana.
Quando penso alla mia formazione, penso alle voci dei miei maestri, ma anche ai volti della mia gente: contadini, insegnanti, giovani che resistono e sognano. In fondo, la mia filosofia nasce da lì: dal tentativo di dare forma intellettuale a quella resistenza umana e morale che la Calabria, con la sua storia, incarna da sempre».
Oggi vive e insegna a Perugia, ma mantiene un forte legame con la sua terra. Come vede la Calabria da lontano, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità?
«La distanza consente uno sguardo più lucido, ma non meno affettuoso. La Calabria resta una terra dalle risorse immense, spesso tradite da un sistema che non sa valorizzarle. Tuttavia, continuo a credere che la sua forza risieda nella cultura, nella memoria e nella capacità di rigenerarsi attraverso l’educazione».
Crede che la filosofia possa ancora parlare ai giovani calabresi, spesso costretti a lasciare la loro terra in cerca di futuro?
«Sì, la filosofia può e deve parlare ai giovani. Perché non è un sapere astratto, ma una forma di libertà interiore. In un contesto dove tutto sembra deciso altrove, il pensiero critico restituisce ai ragazzi la possibilità di scegliere, di comprendere e di non arrendersi all’inevitabile».
Il suo ultimo libro è Oltre lo schermo. Salvare il reale dalle dipendenze digitali. Qual è il nucleo centrale della sua riflessione e che lettura può offrire alla realtà calabrese di oggi?
«Il libro nasce dall’urgenza di comprendere come la dimensione digitale stia modificando il nostro rapporto con il reale, con il tempo e con gli altri. Viviamo immersi in un flusso costante di immagini che rischiano di sostituirsi all’esperienza diretta, generando una forma di dipendenza che non è solo tecnologica, ma esistenziale.
Per la Calabria, questa riflessione è particolarmente attuale: una terra spesso percepita come “lontana” può trovare proprio nella riscoperta del reale — dei volti, dei luoghi, delle relazioni autentiche — la chiave per un nuovo protagonismo culturale. In un mondo che tende a smaterializzare tutto, la Calabria può ricordarci il valore della presenza, della lentezza e della comunità».
Lei ha partecipato a importanti festival e convegni di filosofia. Come giudica oggi la diffusione del pensiero filosofico in Italia? C’è ancora spazio per la riflessione profonda in un tempo dominato dalla fretta e dai social?
«La filosofia resiste, ma deve imparare a parlare nuovi linguaggi. Non basta difendere la profondità: occorre renderla accessibile, senza banalizzare nessuna disciplina, specialmente la filosofia. Il rischio della nostra epoca è la velocità senza direzione. La filosofia, al contrario, insegna a fermarsi — e a pensare. A riflettere in un mondo chiuso e malinconico. In una società così competitiva, dove l’unica cosa che sembra contare sono i social e i selfie per apparire davanti a un pubblico fatto non di persone, ma di “attori digitali”.
È questo il punto: dobbiamo attuare manovre di sopravvivenza sui social e smettere di coprirci di dati fino al cervello, per tornare a concentrarci su ciò che è davvero importante — ascoltare chi non mette “like”, chi non è digitale, ma ancora reale».
Guardando al futuro della Calabria, cosa pensa serva davvero per un suo riscatto culturale e sociale?
«Servono due cose: educazione e fiducia. L’una senza l’altra non basta. Educazione come strumento di libertà, fiducia come energia collettiva per credere che un cambiamento sia possibile. La Calabria ha bisogno di investire nel pensiero, non solo nelle infrastrutture. Riconsegnare ai giovani le chiavi della Calabria e costruire insieme a loro una nuova terra, capace di creare idee così innovative da far invidia al mondo intero. Gli strumenti ci sono: basterebbe solo esserci e avere quel pizzico di follia per crederci. Finché si dialoga per un mondo di pace, significa che c’è ancora futuro — e in Calabria c’è gente che s’impegna a renderla migliore di com’è».
Ha in mente di tornare a portare la filosofia nella sua terra, magari con incontri, laboratori o progetti per le scuole?
«Sì, certo! È un desiderio che mi accompagna da tempo. Credo nella filosofia come pratica civile, capace di formare coscienze e non solo intelligenze. Portarla tra i giovani, nei paesi e nelle scuole, sarebbe un modo per restituire qualcosa alla mia terra. Credo che la filosofia possa aiutare molte persone a ritrovare la vera esistenza e a riscoprire le proprie radici. È un interrogativo che dovremmo porci ogni giorno. Piccoli laboratori e progetti potrebbero servire alla comunità per riscoprire e risollevare lo spirito esistenziale».
Se dovesse riassumere in una frase il messaggio che desidera trasmettere ai giovani calabresi, quale sarebbe?
«Non accettate mai che la rassegnazione diventi cultura. Pensare è il primo atto di libertà».
E quanto c’è di personale in questa sua analisi del digitale e della necessità di tornare al reale?
«Molto. Oltre lo schermo nasce anche da una riflessione personale sul rischio, che tutti corriamo, di vivere più attraverso i dispositivi che attraverso la realtà. La filosofia, in questo senso, diventa un esercizio di ritorno: tornare a vedere, ad ascoltare, a pensare senza mediazioni. È un invito a ritrovare la misura umana della vita, anche e soprattutto nei territori dove la distanza digitale può trasformarsi in occasione di autenticità».