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23/11/2025 ore 18.18
Cultura

Non solo Brunori: viaggio nella storia (e nell’evoluzione) del cantautorato calabrese da Profazio a Voltarelli

Un invito a riscoprire protagonisti “nascosti”, restituendo loro la dignità artistica che meritano e valorizzando un patrimonio musicale di grande qualità

di Lorenzo Muratore

Il cantautorato italiano, negli anni, è diventato la colonna sonora di intere generazioni; ha fatto da tappeto musicale ai passaggi cruciali della nostra storia, raccontando spesso, con voce limpida e coraggiosa, temi politici e sociali. Ancora oggi questa forma d’arte continua a esercitare un ruolo importante sul presente, forse meno politico rispetto a ieri, ma sempre capace di toccare corde profonde.

Detto ciò, allarghiamo appena lo sguardo per posarlo su un angolo speciale della nostra mappa musicale: quello dei cantautori calabresi. Un universo che, per lungo tempo, è stato poco considerato, qualche volta persino non riconosciuto nella sua piena dignità. Per capire davvero la storia e l’evoluzione del cantautorato della nostra terra bisogna partire da un nome fondamentale: Otello Profazio. È lui ad aver donato un contributo prezioso al lato più folk del cantautorato, cantando e scrivendo il Sud in ogni suo respiro, con una meravigliosa eleganza che ha generato capolavori come “lamento del carrettiere” o “amuri amuri”. Il dialetto, nelle sue mani, diventa materia poetica, mai banale e mai volgare. E, d’altronde, negli stessi anni anche Enzo Jannacci cantava nel proprio dialetto: non è un caso che i due abbiano condiviso persino il palco nella trasmissione Questo e quello, condotta da Giorgio Gaber nel 1964.

Facendo un passo avanti arriviamo a Rino Gaetano, calabrese di nascita e di cuore, che della sua terra ha parlato spesso e con delicatezza nelle sue canzoni. In “Ad esempio a me piace il Sud” tratteggia una Calabria luminosa, intrisa di immagini emblematiche: il contadino che torna a casa dopo il lavoro, i bambini che “cantano, giocano e fanno la guerra”. Una carezza musicale che è anche una fotografia perfetta del paesaggio umano e naturale dove è nato e vissuto per pochi anni.

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Avvicinandoci ai giorni nostri, diventa inevitabile – e direi anche doveroso – parlare di Peppe Voltarelli. Prima protagonista con Il parto delle nuvole pesanti, che ha regalato al pubblico lavori preziosi come le musiche dello spettacolo teatrale “Roccu u stortu”, interamente in dialetto calabrese, dove folk, rock alternativo e canzone d’autore si abbracciano con naturalezza. Ma Voltarelli è molto più: è un cantautore raffinato, che tra lingua dialettale e lingua italiana dosa con maestria leggerezza, libertà e quella sana “cazzimma” che rende vive le sue canzoni. Basterebbero “sta città” o “distratto ma però”per capirlo, ma tutta la sua discografia – da “Ultima notte a Mala Strana” a “La lunga corsa verso Lupionópolis”– lo consacra come il vero cantore della Calabria contemporanea.

Accanto a lui è necessario ricordare anche Sergio Cammariere, la cui scrittura si combina con sonorità jazz che caratterizzano gran parte della sua produzione. Brani come ‘’libero nell’aria’’, un manifesto pacifista, o ‘’l’amore non si spiega’’, più intimo ed emotivo, mostrano una cifra stilistica misurata ed elegante.

Ed eccoci, dopo questo viaggio, finalmente a Brunori Sas. La sua discografia è un intreccio di eleganza, poesia e magia: testi che parlano all’ascoltatore come se fossero un dialogo intimo e sincero, sostenuti da una ricerca musicale sempre più attenta, mai banale. Questa cura si ritrova anche nelle sue opere più “piccole”, come l’EP “Cheap!”. Spesso Brunori viene considerato come l’unico faro del cantautorato calabrese contemporaneo, ma il nostro viaggio dimostra quanto siano tanti, e preziosi, i protagonisti della nostra terra. Non per sminuirlo – tutt’altro – ma per restituire uno sguardo più ampio, spesso dimenticato, sulla storia e sull’anima calabrese all’interno del cantautorato italiano. Una storia che merita di essere conosciuta, ricordata ed ascoltata.