Peste a Urana, la Calabria immaginaria e verissima raccontata da Raoul Maria de Angelis
Il romanzo, scritto nel 1943 durante il secondo conflitto mondiale, racconta una storia giocata sulla necessità di inventare per far fronte a una realtà complessa, aggravata da un'epidemia che sembra non aver fine
Che la verità sia un modo per attirarsi sventura? Se lo chiede Giovanni, il quindicenne protagonista della "Peste a Urana”, un bellissimo romanzo che il calabrese Raoul Maria de Angelis (il cui primo nome, all'anagrafe, è proprio Giovanni) scrisse nel 1943, durante il secondo conflitto mondiale. La disposizione insita nella domanda consente all'autore, nato a Terranova di Sibari nel 1908, di giustificare, per così dire, una rappresentazione espressionistica della realtà e dai confini meno nitidi, all'interno della quale l'adolescenza può finire in un giorno solo e, allo stesso tempo, essere concepita come una stagione eterna.
Raoul Maria de Angelis: la Calabria come avamposto delle nostre contraddizioniLa storia, ambientata in una Calabria immaginaria ma riconoscibilissima, è interamente giocata sulla necessità di inventare per far fronte a una realtà complessa, aggravata da un'epidemia di peste che sembra non aver mai fine. È così che la verità diventa un concetto problematico da maneggiare, perché intriso di falsità e pettegolezzi. A Urana, che Michel Foucault avrebbe definito un'utopia situata, non esiste un certificato di verità e ciò autorizza congetture azzardate e pittoresche che sono parte integrante di un impianto narrativo costruito, con indubbia abilità e con un ritmo serratissimo, su un luogo reale ma fuori da tutti i luoghi: il paese, simile a un alveare, ronza «di particolari piccanti in cui sottane e merletti volavano all'aria per lasciare allo scoperto segrete parti del corpo che non conviene troppo nominare». E allora la verità è spesso una bella menzogna che ne nasconde un'altra più umana e segreta che, passando dal crivello della chiacchiera, monta poi fino alla satira e allo scandalo clamoroso.
De Angelis è molto bravo a esprimere il modo in cui questi meccanismi, facendo parte del quotidiano di chiunque, possano diventare romanzo. Che cosa vuol dire romanzo? Romanzo significa usare la fantasia per far credere che la peste sta segnando la vita di una terra quando invece è stato lo stesso Giovanni a diffondere «un contagio più mortale della peste», quello della simulazione perversa e sistematica spacciata per verità. È proprio questa la strada lungo la quale, in quegli anni e poi successivamente, si consumerà la ripresa novecentesca di un genere, il romanzo, per il quale la nostra tradizione narrativa ha dimostrato una scarsa propensione.