Quando la satira diventa resistenza: il lascito di Dario Fo, colui che rise in faccia al potere
Da Mistero Buffo al Nobel, il celebre drammaturgo ha insegnato che la libertà di parola è un diritto da esercitare, e che l’ironia resta l’arma più potente contro l’autorità e l’arroganza
C’era un tempo in cui il potere era intoccabile, la Chiesa inattaccabile, i governi venerati e serviti. Un tempo in cui l’azzardo di una risata poteva sembrare eresia. Eppure in quel tempo arrivò un uomo che trasformò il teatro in un’arma, la satira in una fionda, la parola in un atto di ribellione: Dario Fo.
Con Mistero Buffo, il suo capolavoro, riscrisse la storia dei poveri e degli oppressi, dando voce a chi voce non aveva. Non c’erano santi intoccabili o prelati sottratti allo sberleffo, non c’erano presidenti
o ministri che potessero salvarsi dalla sua lingua tagliente e dalla sua capacità di trasformare la verità in risata.
Fo ridicolizzava l’autorità con l’arma più pericolosa di tutte: la comicità. Perché niente spaventa il potere più di chi lo denuda con il sorriso. Era un giullare, ma non per gioco. Era un giullare che smontava le liturgie dei potenti e restituiva al popolo il gusto di pensare con la propria testa.
La sua voce risuonava nelle piazze e nei teatri, ma anche negli angoli più oscuri del Paese, dove la gente comune trovava nelle sue parole una forma di riscatto e di dignità.
Oggi che il potere, da Putin a Trump, fino a Meloni e Occhiuto, non vuole più essere criticato ma solo osannato, la lezione di Fo torna come una scudisciata. È il monito di un artista che ci ha insegnato che nessun potere è sacro, nessun potente è invulnerabile, e che la libertà di parola non è un favore concesso dall’alto ma un diritto da esercitare, anche quando costa caro.
Il Nobel non fu che la consacrazione di un percorso già scritto: quello di un uomo che ha osato, quando nessuno osava. Oggi, nel momento in cui i giornalisti vengono delegittimati e la stampa ridotta al silenzio, ricordare Dario Fo significa ritrovare coraggio. Significa non piegarsi. Significa ridere in faccia al potere che pretende venerazione.
Dario Fo non ci ha lasciato un repertorio teatrale: ci ha lasciato un metodo di resistenza. La satira come arma, la risata come libertà, il giullare come simbolo di verità. Oggi invece siamo tornati indietro. Il potere non vuole essere messo in discussione: vuole applausi, standing ovation, selfie. Vuole telecamere che riprendano senza fare domande, giornali piegati al “copia e incolla” dei comunicati ufficiali. Eppure basterebbe un nuovo Dario Fo, con la sua sfrontata capacità di irridere e di liberare le coscienze, per far tremare palazzi e segreterie.
Dario Fo ci ha insegnato che non c’è libertà senza satira, che non c’è democrazia senza la risata che ferisce. La sua voce oggi sarebbe un pugno nello stomaco a chi pretende venerazione.