“Sole nero su San Giovanni in Fiore”, la memoria come giustizia: Tommaso Scicchitano racconta un eccidio dimenticato
L’autore restituisce voce alla storia dimenticata della Calabria degli anni Venti attraverso la protagonista Margherita Bilotti: «È insieme donna reale e archetipo di resistenza morale». Il libro come «testimonianza per resistere all’oblio»
"Sole nero su San Giovanni in Fiore" di Tommaso Scicchitano, pubblicato da Luigi Pellegrini Editore, è un romanzo che unisce la forza della memoria alla potenza della narrativa civile. Ambientato nella Calabria del 1925, nel cuore della Sila, il libro restituisce voce a un eccidio dimenticato, a una comunità ferita e alla dignità di chi, pur tra la miseria e la paura, ha continuato a credere nella verità.
Protagonista è Margherita Bilotti, giovane maestra cosentina che, inviata in un paese lontano e difficile, si trova testimone di una tragedia taciuta e di un'Italia che scivola verso la dittatura. Attraverso i suoi occhi e la sua voce, Scicchitano costruisce un affresco storico e umano che intreccia vicende personali e collettive, amore e dolore, idealismo e disincanto.
Il romanzo si distingue per una scrittura limpida e profonda, capace di fondere la precisione del documento alla grazia della letteratura. Ogni pagina porta con sé la tensione etica di chi vuole restituire dignità al passato, ricordando che la memoria è una forma di giustizia. Sullo sfondo, San Giovanni in Fiore non è solo un luogo, ma un simbolo: una città che porta su di sé il peso della storia, il silenzio e la speranza di riscatto.
Con Sole nero su San Giovanni in Fiore, Scicchitano consegna ai lettori un romanzo necessario, che parla di verità negate, di coraggio e di memoria viva. Un libro che invita a non dimenticare, perché – come scrive l'autore – "la memoria è una brace sotto la cenere, e ogni parola onesta può ancora soffiare sulla fiamma". Ne ha parlato in maniera approfondita ai nostri microfoni.
Da dove nasce l'esigenza di raccontare l'eccidio di San Giovanni in Fiore, e in che modo la ricerca storica ha incontrato la narrazione letteraria?
«L'esigenza nasce dalla necessità di restituire voce a una delle tante pagine oscure della nostra storia che rischiano di perdersi nel silenzio. Devo tutto a Salvatore Belcastro, che con un lavoro meticoloso e appassionato ha recuperato dall'oblio i fatti dell'eccidio di San Giovanni in Fiore. Senza la sua ricerca storica, rigorosa e documentata, questa storia sarebbe rimasta sepolta. Il mio compito è stato quello di prendere in consegna quella verità e darle una forma narrativa. La letteratura è intervenuta dove i documenti si fermavano: per dare carne e sangue a quei nomi, per trasformare le vittime in persone con sogni e paure. La narrazione è diventata il ponte tra la verità documentale e la verità umana».
Margherita Bilotti è un personaggio di straordinaria forza morale: quanto c'è di reale e quanto di simbolico nella sua figura?
«Margherita è nata dall'incontro tra realtà e necessità narrativa. Ci sono state davvero maestre come lei, giovani donne colte mandate in paesi sperduti della Calabria, spesso sole di fronte a una realtà durissima. In Margherita ho voluto condensare il coraggio di chi, pur senza potere, sceglie di non voltarsi dall'altra parte. È simbolo di una testimonianza etica, di quella coscienza civile che anche nei momenti più bui non abdica alla verità. È insieme donna reale e archetipo di resistenza morale».
Come ha lavorato sulla lingua, così limpida e insieme carica di emozione e memoria?
«Ho cercato una lingua che fosse accessibile ma non banale, capace di sostenere il peso della storia senza schiacciarla sotto una prosa troppo artificiosa. Volevo che la voce di Margherita avesse la precisione di chi insegna, ma anche il tremore di chi vive sulla propria pelle l'ingiustizia. Ho lavorato molto sul ritmo, alternando momenti di tensione narrativa a pause contemplative, come respiri. La chiarezza era fondamentale: quando si racconta una tragedia dimenticata, ogni parola deve essere al servizio della verità, non dell'effetto letterario».
La Calabria del romanzo è ferita ma dignitosa. È questa la sua immagine della regione di oggi?
«La Calabria porta ancora le cicatrici di quella storia. C'è una continuità tra la miseria del 1925 e certe ferite ancora aperte. Ma sì, la dignità resta. È una regione che ha subìto molto ma non si è mai arresa. Ho voluto raccontare questa doppiezza: il dolore e la resistenza, la povertà e l'orgoglio. Credo che la Calabria di oggi stia cercando di riscrivere la propria narrazione, di uscire dagli stereotipi. Il mio romanzo vuole essere un piccolo contributo a questa memoria viva e consapevole».
Che ruolo ha, secondo lei, la letteratura nella difesa della verità storica e civile?
«La letteratura non può sostituire la storiografia, ma può fare quello che i documenti non fanno: restituire l'emozione, l'empatia, il senso umano della storia. Un romanzo può entrare nelle case, nei cuori, dove un saggio storico fatica ad arrivare.
Vorrei che questo libro fosse letto anche da chi oggi si avvicina o si infatua del fascismo. Non con spirito di condanna morale, ma come un percorso che permetta di abbracciare la verità dei fatti. Quando vedi i volti, senti le voci, conosci le storie di chi ha subito sulla propria pelle cosa significava quel regime, la retorica cede il passo alla realtà. La letteratura civile ha questo potere: far sperimentare la storia dall'interno, renderla esperienza vissuta e non slogan.
È una forma di giustizia riparatrice, un modo per dire: "voi non siete stati dimenticati". In tempi di revisionismo e nostalgie pericolose, questo ruolo è più importante che mai. La memoria è una brace sotto la cenere, e ogni parola onesta può ancora soffiare sulla fiamma della verità».
Se dovesse racchiudere il senso del libro in una sola parola, quale sceglierebbe?
«Testimonianza. Perché questo libro è prima di tutto un atto di testimonianza: delle vittime, della Storia, della verità. Testimoniare è resistere all'oblio, è dire "io c'ero" anche quando non c'eri, è farsi voce di chi non ha più voce. È un gesto etico prima che letterario».