Ustica e il mistero del MiG libico: «Quel caccia precipitato in Calabria è la chiave per capire la strage»
Depistaggi, silenzi e un relitto sulla Timpa delle Magare: 45 anni dopo, nuove domande sull’abbattimento del Dc-9 Itavia e sui resti dell’aereo trovato tra i monti della Sila. Il documentarista Donadio: «Fu Spadolini a suggerire quel legame. La soluzione del giallo di Stato passa da Timpa delle Magare»
Gianfranco Donadio è un giornalista e documentarista calabrese. Cultore della materia in discipline demo-etno-antropologiche, attualmente è responsabile del Laboratorio di cinema documentario "Raoul Ruiz" dell’Unical.
Donadio conosce bene la storia della strage di Ustica e il mistero di 45 anni fa. Ne ha scritto di recente sul Quotidiano della Calabria, e con lui vogliamo capire qualcosa in più.
Cominciamo dalla versione ufficiale: il 18 luglio 1980, in contrada Colimiti, vicino a Castelsilano, alcuni abitanti scoprono i resti di un MiG-23 libico e i resti del pilota. Cause: malore del pilota, che avrebbe inserito il sistema di pilotaggio automatico, lasciando l’aereo volare fino a esaurire il carburante. Troppo semplice, troppo banale.
“La versione ufficiale dell'incidente del MiG-23 libico è stata sin da subito oggetto di dubbi e speculazioni, come riportato anche da altri osservatori. Secondo il comunicato ufficiale del Ministero della Difesa italiano e delle autorità libiche, il caccia dell'Aeronautica militare libica sarebbe precipitato a causa di un malore improvviso del pilota il quale, in stato di incoscienza, avrebbe lasciato che l’aereo volasse, col pilota automatico, fino all’esaurimento del carburante, schiantandosi poi sulle montagne della Sila, in località Timpa delle Magare.
Tuttavia, questa spiegazione è stata ritenuta da molti, inclusi testimoni, investigatori e giornalisti, troppo semplicistica e poco convincente, alimentando teorie alternative e sospetti di depistaggio, soprattutto per il possibile collegamento con la strage di Ustica, avvenuta appena tre settimane prima, il 27 giugno 1980.
Perché la versione ufficiale è stata considerata troppo semplice e banale? Perché diversi elementi emersi dalle indagini, dalle testimonianze e dalle perizie hanno messo in discussione la narrativa ufficiale, suggerendo che l'incidente possa essere legato a eventi più complessi, potenzialmente connessi alla strage di Ustica, appunto, dove il DC-9 Itavia precipitò con 81 persone a bordo”.

Successivamente e quasi sottovoce qualcuno parlava di una battaglia nei cieli. Questo perché c’era il collegamento con la strage di Ustica del 27 giugno 1980, quando un DC-9 partito da Bologna e diretto a Palermo, si inabissò nel mar Tirreno, causando una strage: furono 81 le vittime.
“Il collegamento tra l'incidente del MiG-23 libico precipitato il 18 luglio 1980 a Castelsilano e la strage di Ustica del 27 giugno 1980 è uno degli elementi più controversi e dibattuti della storia italiana recente. L’ipotesi di una “battaglia nei cieli” è emersa quasi immediatamente, anche se inizialmente “sottovoce”, a causa delle reticenze delle autorità e di un clima di depistaggi e silenzi istituzionali. Questa teoria si basa su una serie di indizi, testimonianze e incongruenze che suggeriscono che i due eventi non siano isolati, ma parte di un contesto bellico o di un’operazione militare segreta nel Mediterraneo centrale. Le indagini ufficiali, condotte principalmente dal giudice Rosario Priore, hanno escluso l’ipotesi di un cedimento strutturale o di un’esplosione interna (per esempio una bomba), concludendo che il DC-9 fu abbattuto da un missile o coinvolto in una collisione durante un’azione militare. Questa conclusione si basa sui tracciati radar, su testimonianze di militari e civili e sull'analisi del relitto. Ricordiamo che Il contesto geopolitico del 1980 era teso: la Libia di Gheddafi era considerata una minaccia dagli Stati Uniti e dai loro alleati Nato, e l’Italia, pur mantenendo rapporti economici con Tripoli, era coinvolta in una delicata posizione di neutralità. Si ipotizza che il DC-9 sia stato abbattuto per errore durante un’operazione militare volta a colpire un aereo libico, forse con Gheddafi a bordo, che volava nello spazio aereo italiano”.
Il ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, negli anni successivi, disse qualcosa di inquietante: “Chi avesse risolto il giallo del MiG avrebbe potuto capire la strage di Ustica.” E così tutti tornarono a parlare del MiG-23 libico caduto sulla Timpa delle Magare.
“La dichiarazione dell’ex ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, rappresenta un punto cruciale nella vicenda del MiG precipitato sulla Timpa delle Magare. Questa affermazione, pronunciata da Spadolini (ministro dal 1983 al 1987) negli anni successivi agli eventi, ha riacceso l’attenzione sul caso, rafforzando l’ipotesi che l’incidente del MiG non fosse un episodio isolato, ma un tassello fondamentale per comprendere la strage di Ustica.
La sua affermazione non fu un’osservazione casuale, ma un’indicazione chiara che il caso del MiG libico conteneva elementi capaci di illuminare il mistero di Ustica. Ricordiamo che, come ministro della Difesa, Spadolini aveva accesso a informazioni riservate, inclusi rapporti militari e intelligence, il che rende la sua dichiarazione particolarmente significativa. Egli suggerì che i due eventi fossero collegati da un contesto operativo o geopolitico, probabilmente legato a un’azione militare segreta nel Mediterraneo centrale. Questa dichiarazione ebbe l’effetto di riavviare il dibattito pubblico e, inoltre, ebbe l’effetto di confermare i sospetti di un’operazione militare”.
La Timpa delle Magare divenne crocevia di narrazioni e di misteri. Si cominciò a parlare di depistaggi, di registri comunali manomessi per postdatare l’incidente. E qualcuno parlò anche di silenzi imposti. Insomma un quadro sempre più fosco.
"La Timpa delle Magare è diventata il fulcro di un intricato mosaico di misteri, sospetti e narrazioni che hanno trasformato l’incidente del MiG-23 libico in un caso emblematico di depistaggi e silenzi istituzionali. Le voci di depistaggi, registri manomessi e silenzi imposti hanno reso il quadro sempre più fosco, intrecciando il destino della Calabria con uno dei più grandi misteri italiani. La località di Timpa delle Magare, un canalone impervio nella Sila crotonese, è diventata un simbolo di verità nascoste. Il ritrovamento del MiG ufficialmente datato 18 luglio 1980, e del corpo del pilota, identificato come Ezzedin Fadah El Khalil, ha generato da subito interrogativi che andavano oltre la versione ufficiale del malore del pilota. Questo luogo remoto è diventato un crocevia di narrazioni contrastanti, in cui si intrecciano testimonianze locali, indagini giudiziarie e sospetti di operazioni militari internazionali.
La Calabria, con le sue testimonianze e i suoi silenzi, è diventata un crocevia di narrazioni che collegano un piccolo comune della Sila a un intrigo internazionale. Le indagini del giudice Priore, le inchieste di Andrea Purgatori, o di Paolo Cucchiarelli e le richieste di desecretazione (come la direttiva Renzi del 2014) non hanno ancora sciolto i nodi di questo mistero, ma hanno confermato che la verità sul MiG è intrecciata con quella di Ustica. Questo è un dato certo”.
Gianfranco Donadio all’epoca era un bambino di undici anni. Viveva quella storia e quel posto con paura e con una certa angoscia: le “magare”, quel relitto, una verità nascosta, i misteri su tutta la storia.
“Esattamente. Quel luogo, già carico di suggestioni popolari legate alle “magare” (figure della tradizione calabrese associate a streghe o spiriti), si trasformò in un crocevia di paura e mistero per un bambino che si trovava a contatto con un evento tanto enigmatico quanto inquietante. Il relitto del caccia, il corpo del pilota in decomposizione, le voci di depistaggi e il collegamento con la strage di Ustica crearono un’atmosfera di sospetto e timore, che oggi, da documentarista ho rielaborato in alcuni lavori di osservazione, come, ad esempio, gli articoli pubblicati recentemente sul Quotidiano della Calabria e su I Calabresi.
Per un bambino la caduta di un aereo militare sulla Timpa delle Magare non era solo un evento straordinario, ma un’esperienza carica di suggestioni e paure. Immaginavo Castelsilano, un piccolo comune della Sila crotonese, come un luogo tranquillo, dove le storie popolari sulle “magare” già alimentavano l’immaginario collettivo. L’arrivo di un relitto militare, con il suo pilota morto e le autorità che si muovevano in modo opaco, trasformò per me quel luogo in un epicentro di mistero”.
La teoria più accreditata lega il MiG alla strage di Ustica. Il DC-9 Itavia abbattuto durante un’azione militare, fino ad arrivare a Gheddafi.
“Questa ipotesi, sostenuta dal giudice Priore nella sua ordinanza del 1999 e avvalorata da testimonianze, indagini giornalistiche e dalle dichiarazione di Spadolini, suggerisce che i due eventi siano parte di uno stesso scenario bellico, probabilmente un tentativo di forze Nato o alleate di intercettare un aereo libico di alto profilo”.
Ma perché tanto mistero? Perché quel “muro di gomma” , così definito dal giornalista Andrea Purgatori? Perché lo Stato, il governo, non raccontarono subito la verità?
“Il termine “muro di gomma”, coniato dal compianto Andrea Purgatori, poi diventato titolo del primo film sul caso, di Marco Risi, descrive perfettamente l’insieme di depistaggi, silenzi, documenti scomparsi e pressioni che hanno impedito di fare luce su questi eventi. La reticenza dello Stato italiano, del governo e delle autorità militari a raccontare subito la verità si spiega con una combinazione di fattori geopolitici, militari, economici e politici, che hanno creato un intreccio di interessi tali da giustificare un insabbiamento sistematico”.
Per la comunità di Castelsilano, la Timpa delle Magare è diventata un luogo della memoria, ma anche del silenzio.
“Questo evento ha trasformato un angolo remoto della Sila crotonese in un crocevia di narrazioni, paure e verità nascoste, segnando profondamente l’identità del paese. La Timpa delle Magare non è solo il sito fisico dove fu ritrovato il relitto di un aereo e il corpo del pilota. È un luogo che ha cristallizzato un evento straordinario e traumatico, diventando parte dell’identità collettiva del paese”.