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30/06/2025 ore 07.05
Economia e lavoro

Debiti, truffe e cantieri fermi: il Superbonus ha bruciato 150 miliardi di euro. L’analisi della Corte dei conti

Un meccanismo senza freni, un debito fuori controllo, un’occasione mancata per l’Italia. Ha creato posti di lavoro ma precari e mal retribuiti. E sul fronte ambientale si stima che ci vorranno almeno 40 anni per recuperare i benefici energetici degli interventi effettuati

di Bruno Mirante

Cominciamo a dire che l’analisi della Corte dei Conti è dura, ma netta e puntuale: «Un Paese che perde 150 miliardi in un triennio senza creare sviluppo duraturo non può permettersi altre scorciatoie». È il sigillo finale su una delle operazioni più controverse della politica economica italiana degli ultimi decenni: il Superbonus 110%.

La Corte ci dice chiaramente che il meccanismo introdotto per rilanciare l’economia post-Covid ha generato uno spaventoso buco nei conti pubblici: tra i 126 e i 150 miliardi di euro. Tutti finiti sul debito nazionale che giù di suo viaggiava a ritmi insopportabili.

Il Superbonus avrebbe potuto essere una buona idea, ma è finita malissimo. Nasce con il Decreto Rilancio del maggio 2020, sotto il governo Conte II. L’obiettivo era di sostenere la ripresa attraverso rimborsi del 110% sulle spese per l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza sismica degli edifici.

Immediatamente la buona idea si è rilevata un meccanismo tanto generoso quanto privo di freni: nessun limite ISEE, nessun tetto di spesa, nessun vincolo patrimoniale. La cessione del credito e lo sconto in fattura hanno trasformato il bonus in una vera e propria moneta parallela.

In pochi pochi mesi si è trasformato in un enorme campo di speculazione. Inevitabilmente ha provocato l’aumento dei prezzi degli interventi, la proliferazione dei subappalti, la corsa agli accaparramenti e siccome gli italiani non ci facciamo mancare niente, le truffe erano sotto gli occhi di tutti, con l’aggiramento dei controlli. Non sono mancati castelli, ville e palazzi storici tra i beneficiari del 110%, quando il provvedimento, almeno sulla carta, doveva aiutare i più fragili e l’edilizia popolare.

Il conto finale: 150 miliardi di debito

La Corte dei Conti, sulla base dei dati forniti da ENEA, ha certificato che lo Stato dovrà onorare 126,3 miliardi di euro per interventi già conclusi. Cifra che già si sa, arriverà a 150 miliardi una volta contabilizzati i cantieri in via di conclusione. Bankitalia e l’Ufficio parlamentare di bilancio stimano che tra il 27% e il 33% dei fondi impiegati non abbiano generato effetti economici aggiuntivi. Il rapporto debito/PIL è arrivato fino al 135,3%, uno dei più alti in Europa, cosa che ha costretto i governi a introdurre clausole di salvaguardia nelle leggi di bilancio, aumentare la pressione fiscale e rinviare spese nei settori fondamentali come sanità, istruzione e infrastrutture.

Altro che provvedimenti “a costo zero per lo Stato”, l’Ecobonus si è rivelato un macigno per le future generazioni. Secondo Prometeia, il Superbonus ha generato circa 429.000 posti di lavoro tra il 2020 e il 2023. Ma la maggior parte di essi risulta precaria o temporanea, legata a una bolla edilizia alimentata artificialmente. Ma è accaduto anche altro con il blocco delle cessioni dei crediti deciso nell’estate del 2022, per contenere le frodi: migliaia di imprese sono rimaste senza liquidità, costringendole a sospendere o abbandonare i cantieri. Il risultato? Fallimenti a catena, cantieri incompiuti, famiglie indebitate.

E non è finita qui: sul piano ambientale, la CGIA di Mestre ha stimato che i risparmi energetici generati dagli interventi, saranno pienamente compensati solo tra 40 anni. Mentre si registrata un’esplosione dei costi di manodopera e materiali (+40%), che ha colpito anche le gare pubbliche degli enti locali. La relazione della Corte dei Conti rappresenta un punto di non ritorno. Il Superbonus 110%, nel suo impianto originario, si è rivelato insostenibile, ingiusto e inefficiente.

Ha prodotto un debito colossale, distorsioni sociali e un impatto ambientale tutto da verificare. La lezione che ha ricevuto l’Italia, anzi la violenta sberla, è che qualsiasi politica espansiva deve essere accompagnata da limiti, controlli, valutazioni di impatto.

L’Italia ha bisogno di investimenti, ma anche di responsabilità. Non è più tempo di “mance di Stato” senza copertura: ogni euro pubblico deve essere speso con criterio, trasparenza e visione.

Il super bonus del 110% è stata una lezione amara, che il paese pagherà per decenni. E a pagarla saranno soprattutto le nuove generazioni.

Un fallimento su più fronti: lavoro, economia e ambiente

Secondo Prometeia, tra il 2020 e il 2023 il Superbonus ha creato circa 429.000 posti di lavoro. Tuttavia, molti di questi erano precari e mal retribuiti, con ritardi nei pagamenti che hanno messo in difficoltà le imprese. Nell’estate del 2022, lo stop alla cessione dei crediti deciso per contrastare le frodi ha lasciato migliaia di piccole imprese senza liquidità. Il risultato? Cantieri sospesi o abbandonati e una nuova ondata di fallimenti.

Anche sul fronte ambientale, i risultati sono deludenti. La Cgia di Mestre calcola che ci vorranno almeno 40 anni per recuperare i benefici energetici degli interventi effettuati. Intanto, il forte aumento dei costi di manodopera e materiali (fino al +40%) ha pesato sui bilanci degli enti locali, soprattutto nelle gare pubbliche.

Uno studio del Ministero dell’Economia firmato da Cignarella e D’Imperio mostra come altri Paesi europei – tra cui Francia, Germania, Spagna, Olanda e Regno Unito – abbiano introdotto i bonus edilizi con maggiori controlli: tetti di spesa, limiti legati al reddito e garanzie bancarie. L’Italia invece ha varato il Superbonus senza freni, creando un enorme buco nei conti pubblici, in contrasto con le regole europee.